
Crescere è dimenticare gli amici immaginari per sostituirli con incubi senza ritorno. Un racconto di Andrea Partiti.
Era sempre stato con me, in modo discreto e gentile. Un tassello del mio mondo, banale come una tazza di latte caldo alla mattina.
Non ricordo neppure la prima volta che notai un suo intervento. Giocattoli che tornavano al loro posto, i vestiti tolti alla sera che trovavo impilati su una sedia, un compito dimenticato sulla scrivania che compariva opportunamente ripiegato nel mio diario.
Se mi muovevo distrattamente in mezzo ai miei giochi, capitava che uno di questi, ai margini del campo visivo, facesse un piccolo scatto poco prima che lo calpestassi in modo doloroso.
Una volta avevo perso il mio trenino di legno al parco. L’avevo cercato ovunque e mi ero ormai rassegnato. Invece, appena tornato in camera, eccolo lì, appoggiato sul letto come se non l’avessi mai avuto con me.
La mia famiglia era religiosa, ogni sera prima di dormire recitavamo le preghiere, tutti insieme nella mia stanza. La mia mente di bambino aveva concluso in maniera spontanea che doveva trattarsi dell’angelo custode che pregavamo. In fondo, a cosa serve pregare, se non si spera davvero in un effetto concreto?
Avevo otto anni quando decisi che ero speciale e nessun mio coetaneo mi capiva. Sapevano solo deridermi quando provavo a essere sincero. Avevo imparato presto che nessuno voleva credere a quello che avevo soprannominato l’Invisibile.
I piccoli gesti dell’Invisibile mi rendevano la vita più semplice e felice, senza essere mai invadenti.
Due settimane fa io e i miei genitori ci siamo trasferiti. Nuova scuola per me, nuovo lavoro per mio padre.
L’Invisibile sarebbe venuto con me? Mi aveva seguito durante le rare vacanze, ma mai così lontano.
La prima notte nel nuovo appartamento non dormii. Sentivo tremori, graffi e soffi provenire dal corridoio fuori dalla mia porta. Ero spaventato.
Ne parlai il mattino dopo a colazione, ma i miei genitori non avevano sentito nulla. Era davvero un sogno come sostenevano?
La notte successiva fu ancora più violento e rumoroso, ma in qualche minuto tornò la calma e una coperta salì a coprirmi la testa. La porta non si era aperta e sapevo che si trattava dell’Invisibile. Per la prima volta interagiva direttamente con me. Mi addormentai felice che fosse con me.
Il copione si ripetè identico per un’intera settimana, mentre le lotte aumentavano di intensità e segnavano la casa. Graffi sottili sulla carta da parati e sugli scatoloni impilati qua e là, oggetti spostati e ribaltati. Purtroppo nulla che i miei genitori notassero nel caos del trasloco.
L’ottavo giorno la lotta non iniziò. Aspettai un’ora, poi un’altra, guardando i minuti luminosi cambiare sulla piccola sveglia sul comodino. Mi domandavo se avrei dovuto alzarmi, ma per cercare cosa?
La porta della stanza si apre con un gemito leggero.
Un soffio aspirato sulla soglia.
Mamma? Non è lei, non è silenziosa quando cammina.
L’Invisibile? Non aveva mai avuto bisogno di aprire la porta per venire da me.
Aspetto nel letto, immobile.
Sono inciampato su un’automobilina, questa mattina.
Non mi era mai successo prima.
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