
La vita dopo il disastro è pur sempre vita. Quinto classificato nella CENTODUESIMA Edizione di Minuti Contati con Franco Brambilla nelle vesti di guest star, un racconto di Valter Carignano.
«L’hai preso il casco?»
«Massi, mamma. Non sono mica più una bambina, le so certe cose. E poi a scuola ci hanno detto che entro quindici o vent’anni l’aria sarà di nuovo respirabile, come ai tempi del nonno.»
«Beh, questo non è un motivo per …»
«Uffa. Guarda. Va bene?» Son Hi fa capolino dalla porta della cucina e si mette in posa come una ballerina. La tuta bianco-argento ora le va un po’ stretta, e mette in risalto il fisico agile e scattante; il volto sorridente è perfettamente visibile grazie alla trasparenza del casco Arirà B-7, ultimo modello, che garantisce più di dieci ore di ossigeno in condizioni respiratorie normali.
La madre sorride. «E vai senza scarpe?»
Son Hi guarda in basso, apre la bocca in segno di stupore e scompare nella sua stanza. Poco dopo, ne riesce con gli scarponcini impermeabili Kang ben sigillati alla tuta.
«Brava» scherza la madre, mentre finisce di preparare il kim-chi. «Adesso corri, che arrivi in ritardo.»
«Tanto c’è Un Biol che mi tiene il posto. Ci vediamo dopo. Ciaoooo.»
E sfreccia via verso l’ascensore.
Chiude la porta stagna, la cabina comincia a salire.
Meno quattro, meno tre. Lei aggiusta la luminosità interna del casco per far risaltare meglio gli occhi verdi, di cui va molto fiera e che piacciono tanto a Lim Hu.
Meno due, meno uno. Accende il respiratore e si accomoda la cintura, non vuole mica sembrare una cicciona.
Zero. Esce. Il bel sole di settembre ha fatto fiorire le kimiacee rosse e arancio del giardino, Son Hi le sfiora con la mano e riesce a sentirne la morbidezza attraverso il guanto in microfibra sensoriale. Che belli, i fiori. Chissà com’era brutto quando non crescevano più, e tutto era sabbioso. Aveva visto dei documentari a scuola, una tristezza!
Ma adesso il lavoro di scienziati come la mamma aveva creato quelle varietà che resistevano alle radiazioni ancora presenti nell’aria, è tutta la città era colorata.
Inforca la bici, accende il motore elettrico e via verso lo spazioporto.
A metà strada la affianca Lim Hu. Gli sorride, anche lei lo fa ma non vuole mostrarsi troppo disponibile, i ragazzi più grandi sono degli sbruffoni, a volte.
Comunque, gli sorride.
Arrivano insieme, Un Biol ammicca maliziosa mentre fa loro posto. Son Hi sillaba ‘scema’ senza parlare, ma è contenta.
Viene annunciata la partenza. Suo padre è nel razzo, la base lunare ha bisogno di ingegneri idraulici, starà su sei mesi. L’orchestra nell’auditorium sotterraneo comincia a suonare, i due cantanti intonano l’inno e poi una canzone scritta dal primo Kim. La diffusione attraverso il megaschermo è perfetta.
Nell’esatto momento dell’accordo finale, il rumore dell’accensione si mescola al crescendo dell’orchestra. Son Hi è emozionata, Lim Hu le prende la mano e lei lo lascia fare. Per un pochino, almeno.
Fra vent’anni anche lei sarà una scienziata, e partirà da Pyongyang verso le stelle. Per la gloria degli ultimi uomini e della Korea del Nord, la culla dell’uomo nuovo.