La Macabra Mascherata del 1511

Ogni azione ha un prezzo, come dimostra questa tragica pagina di storia italiana. Per chi volesse approfondirla, basta linkare sui nomi. Un racconto di Fabio Tarussio.

 
È notte e il Diavolo balla per le vie della città, passando per vicoli e stradine. Danza al suono delle lame che si incrociano, ridendo per ogni colpo andato a segno. E le sue risa sono molte, tanto che ormai il sangue ruscella sul selciato come pioggia di primavera.
È notte e il Diavolo balla fra gli uomini feroci senza essere visto. Danza con foga crescente e non può fermarsi, perché le grida d’odio muovono i suoi passi destri, mentre gli strilli di dolore guidano i suoi passi sinistri.
È notte e il Diavolo balla nel carnaio di carnevale, alla testa del suo corteo animale. Danza in mezzo a centinaia di Caino, reggendo alto nel cielo il Nigrafiamma, lo stendardo infernale.
Il Diavolo balla e danza nella notte ma non è ancora soddisfatto. Alla festa mancano ritmo e verve. Sibila quindi cattivi pensieri alle orecchie dei vivi, mentre stende sui loro occhi un rosso velo di rabbia.
Altra violenza dilaga per le strade di Udine ed è come un morbo che infetta le anime. In un’orgia di sangue e ferro, denti e unghie, il Diavolo danza e balla nella notte mentre un circo di anime dannate si infoltisce intorno a lui, in attesa di un suo cenno.

 
Antonio Savorgnan, ancora in armatura, sedeva sfinito nella corte interna del Palazzo di Famiglia. Appoggiato a una colonna, fissava il vuoto davanti a sé e l’unico gesto che sembrava in grado di compiere era quello di portare la bottiglia di vino alla bocca.
Antonio alzò gli occhi al cielo, inspirando l’aria gelida della notte. “Ormai si dovrebbe andare per mezzanotte” pensò. Finalmente il giovedì grasso stava per finire e l’ordine sarebbe tornato in città.
Fuori dalla quiete di Palazzo Savorgnan, infatti, regnava il caos, un caos che era per lo più opera sua. Antonio si prese la testa fra le mani, gli occhi pesanti e così rimase per un tempo impreciso, a metà fra il sonno etilico e la veglia.
Era ancora in quella posizione quando li udì. Alzò lo sguardo giusto in tempo per vederlo entrare nella corte. Era il vecchio contadino zoppo che aveva acceso gli animi degli Zamberlani durante l’assalto di Palazzo Dalla Torre.
Ballava e rideva, seguito da una torma di uomini ebbri e folli, vestiti da gran signori. Sopra di loro sventolava una bandiera sozza e lacera, che gocciolava sangue come l’aspersorio l’acqua santa.
Unti dal quel crisma primordiale gli uomini si agitavano al ritmo di una musica invisibile, esibendosi in una grottesca forma di Gagliarda. La processione cominciò quindi a girare intorno al pozzo, intonando canti e grida bestiali.
Antonio rimase a fissarli, troppo ubriaco per opporsi a quel macabro gesto di riverenza. Completato il terzo giro, però, il Vecchio Zoppo si fermò e impose il silenzio.
«Viva, viva i Savorgnan e morte sugli strumieri venezian!» gridò con voce rauca. Poi facendo un profondo inchino svanì.
Sul selciato della corte rimase solo uno zoccolo bagnato di sangue, uno zoccolo di legno che recava una data impressa a fuoco.
27.03.1512
La data del pagamento.