
Le tradizioni e i rituali, più importanti della storia stessa. Sesto classificato nella Pisa Live Edition con Federico Guerri come guest star, un racconto di Andrea Partiti.
A Valbassa agosto è un mese speciale. Ad agosto c’è la Parata, ricordo di qualche impresa, qualche evento così decisivo nella storia della Valle da essere stato dimenticato in tutto tranne che nel suo rituale di colori, tessuti e musica.
La prima domenica di agosto, nove vecchi del paese tirano fuori dagli armadi scarpe appuntite, berretti piumati e vecchi costumi di velluto e broccato. Non si fidano delle mogli. Li battono personalmente sui terrazzi per togliere l’odore di naftalina e sudore che li intride, si addobbano con gesti attenti e si presentano in piazza bardati da capo a piedi. Una scena che in qualsiasi altro giorno, in qualsiasi altro paese, farebbe girare le teste e partire battute, ma non lì a Valbassa, non il giorno della Parata.
Quando i nove vecchi, uno per ciascuna famiglia dell’Evento dimenticato, si sono trovati con i loro costumi addosso, ben allacciati e gonfi e fieri, marciano verso il municipio, la cui porta è sbarrata dall’interno, e dietro il sindaco ad aspettarli.
C’erano stati anni in cui anche il sindaco doveva stare sulla soglia con il suo costume, perché era uno dei nove vecchi, ma ne avevano discusso e anche il vicesindaco o uno degli assessori giovani lo sostituiva nel suo ruolo.
Il sindaco o chi per lui chiede a gran voce: «Chi bussa alla porta?» e in risposta da fuori continuano a bussare, a turno, picchiando forte i pugni e scuotendo il legno con violenza.
Quando il sindaco non ha più voce, il più anziano del gruppo costumato urla: «Siamo l’esercito della Valle e vogliamo le nostre armi!»
E tutti gli altri ripetono insieme: «Siamo l’esercito della Valle e vogliamo le nostre armi!»
La porta si schiude lasciandoli marciare all’interno. A questo punto, e non prima, tutto il paese è autorizzato a uscire di casa e a raccogliersi nella piazza di fronte al municipio, ad aspettare che escano con le armi recuperate in uno stanzino del palazzone.
Escono in fila indiana, fingendo di non vedere le persone uscite ad aspettarli. Le loro armi sono un tamburello militare ad aprire la fila e dettare il passo, seguito da fagotto e clarinetto affiancati, oboe e ottavino, tromba e flicorno insieme e a chiudere la fila piatti e grancassa.
Dicono che un tempo ci fosse un triangolo in coda, ma possiamo ben immaginare che rovinava l’immagine seria e marziale al gruppo, ed è normale che sia stato scordato con la discrezione tipica delle tradizioni secolari.
Questa buffa compagnia, ora scattante al ritmo del tamburo, si scorda per qualche ora la sua età e galoppa lungo la via centrale di Valbassa, giù fino a Molino Cupo con i suoi abitanti grigi e rancorosi. Giù fino a Bercello dove fanno le candele e tutti accendono un lume per indicare la strada all’esercito della Valle, anche se è mezzogiorno. Poi un lungo giro a toccare tutti i gruppetti di case che hanno preteso un nome nel corso dei secoli, e in ognuno di questi luoghi tutti gli abitanti escono in strada ad aspettarli.
I bambini si animano e saltellano eccitati quando sentono la musica ancora lontana, ma si mettono in riga imitando gli adulti al passaggio. Quasi tutti hanno almeno un padre, un nonno o un bisnonno nella strana banda. Lo cercano con gli occhi per ricevere un cenno d’assenso e di riconoscimento, che arriva puntuale. Alcuni già si trovano ogni domenica con il loro anziano per imparare a suonare lo strumento di famiglia, perché sono stati scelti come prossimo soldato nell’esercito della Valle.
Forse è così che si è perso il triangolo. Un padre anziano e un figlio in guerra, o ucciso da una malattia. È una linea così fragile che è incredibile come il sistema sia durato a lungo.
Ma chissà, forse è tutto un gioco inventato da nove vecchi che amano i costumi e suonare il loro strumento, uno scherzo riuscito male che tutti hanno assecondato fino a crederci davvero e riuscire, la prima domenica d’agosto di ogni anno, a tirar fuori di casa ogni abitante di Valbassa, giovane o vecchio, uomo o donna, bambino o malato.
Forse spariranno come il triangolo, uno a uno, quando verrà il loro tempo. Forse nessuno prenderà più il loro posto, fino all’ultima solenne corsa di un tamburo solo che batte come un vecchio cuore in corsa.