
Scherzi perpetrati con superficialità possono condurre a conseguenze fondamentali per la vita di chi li fa e di chi li subisce. Un racconto di Alessandra Corrà.
Non c’era giorno in cui Luigi non scrivesse una nuova lettera. Una volta sigillata dentro una busta me la consegnava affinché fossi io a recapitarla alla destinataria. C’era solo un difetto in questo procedimento, alquanto imbarazzante a dire il vero: le risposte le scrivevo io stesso perché l’ipotetica ragazza non esisteva.
Tutto cominciò un giorno in cui sorpresi Luigi in sala studio.
Lui, chino su un libro, emetteva con la bocca i soliti versi che davano l’idea di un fastidioso ronzio.
Tuonai alle sue spalle: «Mia cugina è passata in Facoltà. Ti ha visto e gli sei piaciuto. Pensa, non parla che di te.»
Detto questo lasciai cadere una foto di Agata, la mia ex, quella che mi aveva lasciato un mese fa per il francese.
Inconsapevole del morboso gioco che stavo avviando pensai solo al godimento di inventare una simile beffa.
Lui guardò la foto e si inumidi’ le labbra:
«Com’è bella. Sembra la sirena di Waterhouse.»
«Water che? E chi diavolo sarebbe?»
«Un pittore inglese. La sirena è il mio quadro preferito.»
Lo sguardo rovente come uno schiaffo contrastava l’innocenza dei suoi occhi. Non vi erano dubbi: mi credeva!
Un altro avrebbe storto il naso, ma lui che a vent’anni era calvo e al posto della bocca aveva una caverna, pareva un bambino fin troppo ingenuo.
Chi avrebbe potuto intuire cosa si provasse a essere prigionieri di un corpo decrepito? La causa di quel handicap a pochi importava e tutti, me compreso, lo deridevano, ahimè.
Da quel giorno iniziò a scrivere. Ed era come se facesse l’amore con i vocaboli perché ciò che elaborava dubito altri sarebbero stati in grado di trasmetterlo con egual enfasi.
Sfortuna volle che Elio, un mio amico, venne a conoscenza della burla. Divertito si precipitò dal malcapitato che intanto disegnava sirene su carta.
«Basta scrivere, basta disegnare!» diceva sparpagliando con slancio i fogli.
«Vai dalla tua bella! Devi vivere! Non puoi continuare a nasconderti!»
E rideva, lui che senza tanti scrupoli portava le ragazze nei boschi per mettergli le mani dentro i vestiti, altro che storie.
Luigi lo guardava rapito borbottando la solita litania incomprensibile.
Il giorno dopo non si presentò in Facoltà, ma nulla escludeva avesse preso un malanno: così non mi preoccupai.
Il tempo però passava e la sua assenza cominciava a pesarmi come piombo.
Nel sole estivo che bruciava ormai la città, finirono anche gli esami.
Mi decisi ad andarlo a trovare.
L’appartamento in cui viveva era malridotto quasi quanto lui e la porta di casa l’aprì una donna dall’aspetto bovino.
«Cercavo Luigi. Sono un compagno di…»
Non riuscii a terminare il discorso che lei scoppiò a piangere.
«Non è più tornato. Un giorno è andato dalla fidanzata, non so nemmeno dove abitasse, erano mesi che si scrivevano, sai come sono gli innamorati… da allora è scomparso. La polizia ha fatto tutte le verifiche. In realtà pare abbia acquistato un biglietto di sola andata per Londra. Sono riusciti a trovare l’hotel dove ha preso alloggio. Due notti ci è restato. Durante il giorno invece è andato a visitare il British Museum, un guardiano del museo ha affermato di averlo visto seduto davanti il quadro di una sirena per parecchie ore. Se solo fosse stato più normale, forse sarebbe riuscito ad avere più amici. Invece… Da quel momento nessuno l’ha più visto. In fondo, è maggiorenne. Non gli si può imporgli niente. Ma potessi sapere almeno se sta bene.» E si asciugava le lacrime con un grembiule sporco di sugo.
D’allora non ho saputo più nulla di Luigi, è sparito dalla vita di tutti come un’ombra maldestra, ma il maledetto ronzio che sempre emetteva entra ancora nei miei sogni ogni notte, come si burlasse di me.
Io vorrei dirgli di smettere e di lasciarmi in pace, ma puntuale si ripresenta sempre.