
Può un cuore nuovo cambiare una persona? Anima e corpo sono davvero così autonomi l’uno dall’altro? Simolimo ci racconta la storia del signor Uff…
Il cuore del signor Uff reggeva a stento il minimo sforzo. Amava sentirlo battere in quel modo sregolato e amava ascoltarne le emozioni: pur diverse tra loro, avevano tutte lo stesso significato, vita.
Poi il cuore smise di battere e il silenzio chiuse gli occhi ai sentimenti. Si riaprirono in una stanza dai contorni sfocati, con le pareti azzurrine e il soffitto bianco. Più la vista si abituava alla luce e più i contorni tornavano conosciuti. Vide le braccia bucate da cannule, naso e bocca intrappolati da una maschera. L’abbassò, e si strofinò il viso. Non si riconobbe più, era tosato come una pecora, niente più barba, né baffi. Gli avevano lasciato solo le ciglia, per piangere. E pianse.
Gli si rigò il volto di paura, eppure, il cuore non sbagliò un battito.
Entrò dalla porta un signore troppo magro per il camice che indossava: «Signor Uff…», disse andando vicino al letto, «come si sente?» Lesse dei numeri sulle macchine a cui era collegato il vecchio e nell’appuntarli cantilenò, «Cuore nuovo, vita nuova.»
«Che cosa mi avete fatto?!» disse il Signor Uff con un briciolo di fiato.
«Gli abbiamo ridato la vita. Ha un cuore tutto nuovo ora, non sbaglierà un colpo.»
L’anziano si portò a fatica la mano al petto: «E il mio?»
«L’abbiamo congelato. Se vuole può tenerlo.»
In quel momento il signor Uff smise di pensare a qualsiasi cosa.
Il signor Uff continuò così a vivere: con un motore nel petto e il cuore nel freezer.
Ogni sera ricaricava la batteria e, meticoloso, cambiava la carta d’alluminio che avvolgeva il muscolo rigonfio, deforme, come la cicatrice che gli bruciava in petto.
Non fu semplice abituarsi al nuovo battito, per giorni lo sentì profondamente estraneo. Incapace a seguire vecchie emozioni. Ma avere il suo cuore vicino lo rassicurava. E l’angosciava.
Cosa avrebbe fatto senza? Senza, sarebbe morto.
L’angoscia divenne tormento, il tormento rabbia e la rabbia paranoia. Il signor Uff non uscì più di casa, divenne irascibile, sospettoso. Cattivo. Iniziò a temere ogni forma di vita, a indispettirsi per qualsiasi nonnulla.
Un giorno gli bussarono alla porta.
«Buongiorno» gli disse la ragazza in un ampio sorriso, «Sono Lara, la sua nuova vicina.»
L’uomo si limitò a fissarla.
«Mi scusi se la disturbo… ma, ha per caso del ghiaccio?»
La mente dell’anziano si offuscò.
«Sa, mi hanno appena attaccato il frigorifero…»
La mente del signor Uff si offuscò. Si bloccò, indietreggiò. Nella testa il rimbombo di quella richiesta: insidiosa, pericolosa. Guardò la ragazza, zitta, con lo sguardo puntato oltre i suoi occhi, e lui non ebbe più alcun dubbio: quella ficcanaso conosceva il suo segreto. Voleva rubargli il cuore.
Nel suo sguardo balenò la follia. Afferrò la vicina per il collo e iniziò a stringere, e stringere, sempre più forte, fino a che i suo occhi non rimasero spalancati alla morte.
Il vecchio si ritrovò a terra accanto al corpo esanime, era disorientato: lo sguardo sgranato, il viso impietrito. Eppure, il battito non tradì alcuna emozione, continuò a battere regolare, obbligato dalla macchina. L’uomo si alzò di scatto, corse al frigorifero e spalancò il congelatore. Afferrò il cuore avviluppato e lo strinse a sé. Rimase lì, con lo sguardo perso nel vuoto: minuti, ore.
La batteria suonò a morto in lunghi beep.
Il signor Uff non poté sentirla: nelle sue mani, il cuore tumefatto aveva iniziato a marcire.