Malombra

La terra è secca sotto le mie dita rugose, screpolata come la corteccia di un albero morto. Prendo un seme dal sacco di lino, lo stringo tra il pollice e l’indice. Il suo peso minuscolo mi conforta; è liscio e freddo tra le dita. Lo infilo nel terreno, lo copro con cura, come se stessi seppellendo qualcosa di prezioso. O di morto.
 
Nel vento c’è odore di sangue.
Alzo lo sguardo. Un cavallo avanza barcollando tra la terra brulla. Un soldato giace riverso sul suo dorso. La corazza squarciata, il mantello candido intriso di sangue. Il cavallo si ferma a pochi passi da me, sbuffa, poi crolla. L’uomo scivola giù, gemendo.
Mi avvicino. È giovane. Troppo giovane. Dalla feritoia dell’elmo, occhi neri. Gli stessi di mio figlio.
“Aiutami, vecchio” geme.
Indugio. Potrei lasciarlo lì. Potrei lasciare che il terreno lo inghiotta. Invece mi chino, lo sollevo. È leggero, fragile.
 
Spalanco la porta di casa, adagio il ragazzo sul tavolo.
“Chi sei?” gli chiedo, mentre strappo via la sua armatura.
“Il figlio di Corsier” sussurra, ansimando.
“Sei solo?”
“No” mormora. “Eravamo in tanti, ma sono tutti morti.”
“Come?”
“I girasoli” sussurra ansimando. “Erano enormi. Troppo. Hanno distrutto i villaggi, la mia città. Li abbiamo inseguiti, attaccati. Tutto inutile.”
Chiude gli occhi. Il suo respiro è affannoso.
“Volevo essere un eroe” dice, più a se stesso che a me. Chiude gli occhi sofferente.
Esamino le ferite. Profonde. Sporche. Ha ben poche possibilità. Potrei provare a salvarlo. Potrei..
 
Mahl corre tra i campi. Ride felice del suo nuovo giocattolo. Gli occhi neri scintillano. I denti bianchi come luce d’alba.
“Papà guarda.”
L’aquilone danza nel cielo.

 
La fronte del ragazzo non scotta più. La febbre si è abbassata da qualche giorno. Sembra stare meglio, ma il dolore è ancora scritto sul suo volto. Mi osserva in silenzio mentre mescolo il decotto di rosa spina. La pentola borbotta sul fuoco.
“Cosa sono quei semi che vai a piantare ogni giorno?” mi chiede, indicando il sacco di lino.
“Semi,” rispondo.
“Di cosa?”
“Di piante.”
“Che piante?”
“Piante che crescono” dico, senza guardarlo.
“Vecchio, parli come se avessi paura delle tue stesse parole” fa lui, con una risatina strozzata e due colpi di tosse.
Lo fisso. “E tu parli come se fossi ancora in forze per fare lo sbruffone.”
Ride ancora, ma il suono si trasforma in un gemito. Si porta una mano al fianco, dove la ferita è più profonda.
“Perché sei qui?” mi chiede guardando il soffitto. “In questo posto dimenticato, tutto solo?”
“Perché è qui che devo essere” taglio corto.
“E i girasoli? Li hai visti?”
Verso il decotto. “Li ho visti.”
“E non hai paura?”
“Ho paura di molte cose” dico. “Ma non di loro.”
“Perché?”
“Perché so cosa sono.”
Lui mi fissa, gli occhi pieni di domande. Ma non rispondo. Non ancora.
 
Gli zoccoli dei cavalli rombano tra i campi.
“Mahl, dove sei? Scappa via!”
I cani abbaiano, le balestre scattano. L’aquilone vola libero sospinto dal vento. Su. Sempre più su.
Grido.

 
I colpi a vuoto della spada del ragazzo che si allena fuori dalla baracca mi tranquillizzano. Uno strumento di morte può veramente farmi questo effetto? È assurdo.
Alzo le spalle e prendo il sacchetto di lino. Esco anche io. I campi mi aspettano.
“Ho fatto un giro qui intorno. C’è solo terra arida per miglia. Perché li pianti?” mi chiede sull’uscio della porta.
“Perché è necessario.”
“Per chi?”
“Per me. Per tutti.”
 
“Mahl! Figlio mio! Resisti!”
Sangue nero sgorga dal suo petto e cade copioso nella terra. L’asta della freccia sembra un fiore nel suo corpicino.

 
Qualcosa mi scuote dai miei incubi. Apro gli occhi di scatto.
Il ragazzo mi fissa con rabbia stringendomi le spalle.
“Sei stato tu a creare quei girasoli neri!” urla. “Sei stato tu a uccidere i miei compagni! A devastare le città!”
“No.”
Non mi ascolta e mi tira un pugno violentissimo. Piego la testa. Sputo sangue scuro.
“Sangue nero!” grida. “Lo sapevo! Non sei umano! Sei un Malombra!”
Un secondo pugno.
Cerco di divincolarmi, ma è lui a lasciarmi. Scende dal letto e impugna la spada.
“Mostro! Tu non semini piante! Semini terrore!”
La lama mi trafigge il fianco. Il metallo freddo è quasi un sollievo.
Mi accascio sul pavimento incapace di muovermi. Un uomo così piccolo è riuscito ad uccidermi così facilmente?
“Stavo piantando è vero… ma non quello che pensi. Seminavo rovi bianchi che avrebbero imprigionato i girasoli. Ma… ne ho piantati troppo pochi. La terra… è così arida… e io non ho più amore.”
Mi fissa confuso. “Volevi fermarli?”
“Sì… loro… mio figlio… tutti…”
 
“Mostro! Mostro!” la voce degli uomini rimbomba nelle mie orecchie mentre Mahl esala l’ultimo suo respiro. I girasoli alti attorno a noi. Macchiati del suo sangue.
 
Il ragazzo lascia cadere la spada. Piange come un bambino.
“Mi dispiace” sussurra.
“Avrei dovuto dirti tutto… Prendi i semi e continua piantarli.”
“Non so se sarò capace di farli crescere.”
“È molto semplice. Piantali non per vendetta, ma per amore per la tua gente. Il mondo non merita altro terrore. Ora vai e… ama.”
Chiudo gli occhi e per la prima volta, dopo tanto tempo, vedo veramente mio figlio.
 
(Copertina generata con ARIA)