
Davanti a lei non c’era più nessuno. Il suo turno era arrivato.
Nessuno è risalito. Il profeta si sbagliava. Con me, la razza umana sparirà per sempre.
Sofia guardava il baratro davanti a sé che aveva ingoiato gli ultimi uomini rimasti sulla terra. La polvere turbinava intorno a lei. Il mondo, con l’assenza di pioggia e il dilagare del morbo, era morto. Ogni forma di vita si era trasformata in cenere.
Il suo abito bianco svolazzava nel vento, immacolato in tutto quel grigio e refrattario alla polvere. Sofia si sentiva circondata da una bolla che la proteggeva. Dentro di lei si accese la speranza. Guardava il vestito, la cenere non lo intaccava.
Sì, forse sono io. Il profeta diceva il vero: “Alla fine dell’ultima era, l’ultimo risalirà dal pozzo riportando con sé gli altri.”
Si avvicinò al pozzo e si sedette sul bordo per osservare quel nero che la stava aspettando. Sfilò dalla tasca il pacchettino che le aveva lasciato sua madre prima di avviarsi verso le profondità della terra e si accorse che le mani stavano diventando grigie. Il morbo l’aveva presa. Non li avrebbe salvati.
«Mamma!»
L’eco della sua voce rimbalzò sulle pareti perdendosi nelle profondità della voragine.
«Mamma, che devo fare? Sono l’ultima rimasta, ma il profeta non ha parlato. Era tutto un inganno. Abbiamo creduto alle parole di un visionario, un falso profeta che ci ha portati al suicidio. E ora, che sono sola, non mi resta altro da fare che raggiungerti.»
Il cielo sopra di lei iniziò a vorticare diventando sempre più scuro.
«Il tuo tempo è giunto al termine.»
La voce del falso profeta si espandeva nella testa di Sofia facendola vibrare. Nuvole viola lampeggiavano e rimandavano il suono di quelle parole.
Sofia sentiva l’oscurità invaderle il corpo e la mente. Il falso profeta si era connesso alla sua anima e sentiva che presto sarebbero diventati un’unica entità.
«Sofia, io posso rinascere grazie al sacrificio di voi umani. Sprofondando nel baratro, la tua carne cadrà come foglie in autunno e anche tu farai parte di me, ricongiungendoti ai tuoi simili. È finalmente arrivato il giorno della mia ascesa dal sottosuolo per creare un’eterna oscurità. Guarda il mondo, Sofia. È un mondo in agonia che si è rivoltato contro gli umani stessi. E ora, che tutto è crollato, io risorgo dalla terra per occuparmi di tutte le vostre anime nelle tenebre. Coraggio, basta un passo e la tua fine sancirà il mio inizio.»
Era la fine, la fine di ogni speranza per il mondo. Sofia si alzò e urlo contro il cielo.
Urlava al mondo che si era rotto, al mondo che aveva sputato contro gli uomini i loro fallimenti. Urlava alle persone, alle persone che aveva perso. Inveiva contro la creatura che l’aveva ingannata e che aveva condotto gli uomini a sprecare l’ultima era del pianeta.
E mentre stava per compiere l’ultimo passo della sua esistenza per abbracciare le tenebre, si accorse che tra le mani stringeva ancora l’involucro che le aveva lasciato sua madre. Con delicatezza lo aprì. Al suo interno una bustina su cui si leggeva la parola “margherite”. Il fiore preferito di sua madre. Piccoli semini neri giacevano sul palmo della mano di Sofia. Fece una piccola buca nel terreno e vi lasciò cadere i semi, bagnandoli con le lacrime.
Poi fece un passo verso l’abisso.
E mentre cadeva verso l’oscurità, la pioggia iniziò a scendere.