Motori e cuori guasti

Era il periodo dell’estate in cui tutti gli amici fidanzati partono per le vacanze. Io, Mirko, Alessandra e Francesco eravamo soli, ma con una gran voglia di andare via da casa. Avremmo passato due settimane sulle Alpi, per divertirci e non pensare, stando lontani da tutto.
Mirko era stato lasciato da una ragazza che con lui aveva solo giocato. Alessandra aveva una famiglia soffocante e si sentiva esplodere. Fra era stato scaricato con la scusa della distanza. Io avevo sentito il classico “Non è il momento giusto.”
La prima sera ci siamo accampati in un prato. Abbiamo parlato fino a tardi e dormito ammucchiati, cercando calore, o per ricordare com’è dormire con qualcuno.
La mattina dopo Mirko si è seduto alla guida e ha girato la chiave, ma il motore non ha risposto. Siamo scesi a guardare cosa non funzionasse, ben consapevoli di non capirci niente e troppo orgogliosi per ammetterlo. I cellulari prendevano male; Fra è riuscito a chiamare un meccanico solo dopo un po’ di tentativi, stando arrampicato su una parete di roccia. Stavamo per finire nel panico, convinti di essere bloccati per giorni. Il meccanico ci ha detto che avremmo dovuto aspettare il giorno dopo, prima non sarebbe riuscito ad arrivare.
Senza una vera ragione la vacanza sembrava persa. Il programma sarebbe stato comunque campeggiare, ma l’idea di essere bloccati ci aveva demoralizzati.
Io avevo tirato fuori dallo zaino il libro di Peter Pan, mio eterno compagno di viaggio, e mi ero messa a leggere in un angolo. Mirko aveva preso la chitarra e suonava per i fatti suoi. Ale giocava a stare in equilibrio sui sassi. È stato Fra a sbloccare la situazione, dopo un po’ che la guardava.
«Facevo lo stesso gioco, immaginavo che ci fosse la lava di sotto.»
Ho chiuso il libro. «Io vedevo la passerella dove Capitan Uncino fa camminare Wendy.»
«E Peter Pan ti prendeva al volo?»
«Certo. Da piccola ci credevo.»
«Perché, ora no?»
Abbiamo riso e ci siamo seduti di nuovo vicini. Le battute ci avevano salvati e non ci siamo accorti del tempo che passava. La notte è arrivata prima e più calda del previsto. Avevamo bevuto, forse un po’ troppo. Guardavamo la via lattea e ci chiedevamo se si potesse navigarci come se fosse stata un fiume.
«Ce l’avrei portata Anna sulla via lattea.»
«Mirko, era stronza. Hai fatto l’impossibile per lei.»
Ha fatto un sorriso amaro. Non era la prima volta che glielo dicevo, ma non ci ha mai creduto.
«Non so quanti aerei ho preso per andarla a trovare.»
Il bello dei discorsi che si fanno da giovani, soprattutto quando si è lontani da tutti, è che le frasi sembrano non avere un nesso logico. Forse quando li si fa si parla più a se stessi. Forse è solo rispondendo agli altri che troviamo le risposte che ci servono. Quella sera dev’essere successo qualcosa di simile, mentre parlavamo tutti insieme.
«Io un sacco di treni per Sara. Sosteneva che la distanza la soffocasse, che l’uomo della sua vita avrebbe potuto passarle davanti senza che lo vedesse perché era occupata con me.»
«A casa l’atmosfera è insopportabile. I miei spariscono e poi pretendono di sapere tutto e comandare. Vogliono sapere cosa farò nel futuro e io non so cosa rispondere.»
«Credo sia stato Peter Pan a dirmi che non era il tempo giusto, dopo un anno non è ancora arrivato. Chissà se è rimasto bambino, mentre io divento vecchia guardando le stelle.»
Cercavo la seconda stella a destra, anche se non avevo più chi mi guidasse all’Isola che non c’è.
Eravamo arrivati al motivo che ci aveva fatti partire. Avevamo tentato di mettere chilometri tra noi e il passato, senza arrenderci al fatto che l’ombra viaggi con noi.
Dopo un po’ Ale si è addormentata. Mirko l’ha coperta con la sua felpa, poi si è infilato nel sacco a pelo ed è andato a fare incubi che non avrebbe raccontato. Voleva stare solo la notte, non gli piaceva condividere il ricordo che l’aveva spinto a partire. Io ho asciugato a Fra una lacrima che scendeva da sotto gli occhiali.
«Fra… Se tu non mi avessi insegnato a sognare non so che fine avrei fatto.»
«Ti voglio bene.»
Ci siamo stesi vicini. Avevo freddo, ma sapevo che non dipendeva dalla temperatura.
«Cosa ti manca di lui?»
Non mi guardava mentre l’ha chiesto. Certe cose è più facile dirle tenendo gli occhi lontani.
«Non riderai?»
«No.»
«Mi manca vederlo al mattino. Sentirlo abbracciarmi in piena notte.»
«Non si ride di un cuore guasto.»
«E qui ce ne sono ben tre… Più un motore.»
Ha riso. È stato bello sentirlo ridere dopo quel che ci eravamo detti.
«Non sono Peter Pan, dovrai accontentarti.»
Mi ha abbracciata e ho sentito meno freddo.
«Ti voglio bene anch’io.»
Per me è sempre stato difficile dire certe cose, ma in qualche modo ho sempre risposto. Un giorno lo ringrazierò anche per quella notte, per aver capito che di quell’abbraccio avevo bisogno.
Il giorno dopo almeno il motore è stato aggiustato e siamo ripartiti. Avevamo qualche giorno, una strada davanti, la speranza di seminare il passato. E la certezza che ci saremmo tenuti la mano, anche quando il cuore si sarebbe rifiutato di funzionare.