
La normalità, questa normalizzata anomalia… Il racconto di Stefano Pastor classificatosi al QUINTO posto nella BEST 13 delle prime sessantadue edizioni di Minuti Contati.
Lo chiamavano “Mulo”.
Era un po’ ottuso, ma questo lo sapeva anche lui, aveva rischiato la bocciatura più di una volta. Avevano pure chiamato sua madre a scuola e le avevano chiesto, con molta diplomazia, se non fosse il caso di trasferirlo in un classe più adatta.
Mulo non se ne dava pena, gli era difficile concentrarsi su qualcosa, era capace di restare ore a guardare il volo di una farfalla o una goccia di rugiada scendere lungo uno stelo.
Si accontentava di poco, e per questo era lo zimbello di tutti.
Lei era “Dora”. Isadora, in verità. E il nome era già un programma. Nata con un destino prefissato, costretta a ballare persino prima di iniziare a frequentare la scuola. Le erano occorsi quindici anni prima che i genitori si rassegnassero che lei non sarebbe mai stata in grado di emulare la Duncan.
Non aveva vissuto una gran vita, non aveva fatto nulla di grandioso, di unico, ma lei era convinta del contrario. Era convinta che la sua esistenza fosse speciale, che andasse tramandata, che potesse essere di esempio per tutti.
Per questa ragione, alla veneranda età di ottantasette anni, Dora non sapeva fare altro, raccontare la sua vita a chiunque l’ascoltasse.
Ma non era facile, di amiche non ne aveva più. Le poche che non erano ancora morte si guardavano bene dall’andarla a trovare, adducendo come scusa gli acciacchi dell’età.
C’era una nipote, la sua unica nipote, ma anche lei non aveva mai tempo, eccetto quando si trattava di venire a battere cassa.
Dora soffriva, non per la solitudine, ma perché aveva il desiderio costante di parlare e non c’era nessuno che stesse ad ascoltarla.
Un bel giorno si incontrarono. Mulo e Dora.
Lui perso a rincorrere grilli, tentando di saltare come loro, lei occupata in giardino a parlare con le sue rose.
Il grillo di Mulo saltò sulla rosa di Dora, e lì ebbe inizio tutto.
Era più affascinante di un grillo, persino di una farfalla, Mulo era perso, gli occhi fissi sulle labbra di Dora, sempre in movimento. Non si fermavano mai, e lui sarebbe rimasto in eterno a guardarle muovere.
Di ciò che la vecchia raccontava non capiva molto, aveva smesso di ascoltarla quasi subito, era l’atto del parlare che lo affascinava. Era meglio di tutte le maestre che aveva avuto finora.
Lui annuiva ogni tanto, aveva capito che le faceva piacere, ma la sua partecipazione si fermava lì.
Dora, dal canto suo, non era mai stata così felice: quello strano bambino era felice di ascoltarla, e lei aveva così tanto da dire, una vita intera da raccontare. Cose importanti, che gli avrebbero cambiato la vita, che gli sarebbero state necessarie per affrontare il mondo.
Si vedeva subito che era un bambino intelligente ed educato, non come quei monelli suoi coetanei. Lui non correva, non gridava, non parlava quasi.
Era perfetto.
L’amicizia tra Mulo e Dora stupì tutti.
Eppure funzionava, Mulo era sempre lì. Appena finiva le lezioni sgattaiolava fuori dalla classe, seminava i suoi aguzzini, e correva a casa di Dora.
Dora raccontava e raccontava. Com’era quasi diventata una ballerina, com’era quasi riuscita a riciclarsi come attrice, come si era quasi sposata con un ricco principe azzurro. Tutti i successi della sua vita, che a un orecchio attento sarebbero apparsi di più come fiaschi. Ma Mulo attento non lo era per niente.
Quelle labbra così sottili, rugose, il modo elegante in cui si muovevano, come onde nell’oceano, la lingua rosea che le accarezzava ogni volta che il troppo parlare le seccava, era tutto questo ad affascinare Mulo.
I suoi compagni se ne accorsero, per quanto lui fuggisse di soppiatto non tardarono a scoprire dove si recava. Iniziarono ad attenderlo al varco, e a deriderlo ancora di più.
Tornò l’odiosa nipote. Non perché si sentisse in colpa, né avesse bisogno di qualcosa, aveva solo sentito dire in giro che l’anziana nonna si era affezionata a uno strano bambino, e vedeva così in pericolo la sua eredità.
Giacché almeno lei era un tipo pratico inquadrò subito la situazione, prima ancora di entrare in casa. Erano sul portico, Mulo e Dora, e lei gli serviva il tè. Lui aveva un sorriso ebete sul volto, ed era chiaro che non comprendesse una sola parola dei discorsi di cui la vecchia lo stava sommergendo.
Come non bastasse, la casa era circondata da un gruppetto di delinquenti in erba che deridevano i bevitori di tè e li coprivano di insulti. Dora pareva non sentirli e non vederli, tanto era immersa nei suoi ricordi, e Mulo ancor meno di lei.
La decisione fu immediata: era ora di rinchiudere quella vecchia idiota in un ospizio.
«Cinque minuti e sono qui, nonna. Sbrigati.»
Dora taceva, e già questo diceva tutto. Nella sua camera contemplava le valigie già pronte. Non era stata lei a farle.
«Ci saranno un mucchio di amiche con cui chiacchierare. Ti troverai bene.»
Sarebbe arrivato Mulo. Pochi minuti e lui sarebbe arrivato lì. C’erano così tante cose che aveva ancora da raccontargli, lui aveva bisogno di lei. Erano cose importanti, l’avrebbero aiutato nella vita, l’avrebbero salvato. Non poteva abbandonarlo così.
«Non dici niente, nonna? Sei sicura di stare bene? Hai bisogno di un medico?»
Era tanto stanca, Dora. Stanca che gli altri si intromettessero nella sua vita. «Ti ho raccontato dei miei genitori, cara?»
Mille volte. La nipote tirò un sospiro di sollievo, perché era tornata alla normalità.
«Però non ti ho mai detto come sono morti, vero?»
«Ma sì, nonna, è stato un incendio, lo so già.»
«Sai anche che sono stata io ad appiccarlo? Che li ho uccisi?»
La nipote inarcò appena un sopracciglio. «Non ti rendi conto di quello che dici…»
«Avevano rovinato la mia vita. Volevano solo che fossi quello che desideravano loro. Non potevo più tollerarlo.»
«Ma nonna…»
«E di Roberto? Ti ho raccontato di Roberto?»
«Ma sì nonna, so quanto lo hai amato!»
«Per lui ho smesso di recitare! Mi avrebbe portato a vedere il mondo, diceva. Sarei stata la sua regina, tra ville e panfili.»
Un sospiro. «Sì, nonna, ma poi ha avuto quell’incidente…»
«Mi ha lasciato! Quel porco aveva un’altra! Una più giovane! Non potevo fargliela passare liscia!»
«Cosa vorresti intendere, con questo?»
Iniziava a sentirsi agitata.
«E di tua madre ti ho raccontato?»
La giovane divenne isterica. «Hai ucciso anche la mamma? Tua figlia? Perché?»
La vecchia la guardò fissa negli occhi. «Perché era come te.»
Si fronteggiarono. La nipote si aggrappò alla logica. «No, non ci credo. Tu sei pazza, nonna, completamente pazza.»
La vecchia sospirò. «E non crederci.»
Poi tirò fuori la falce da sotto il cuscino.
«Hai fatto come ti ho detto? Hai messo il vetro tritato nei loro panini?»
Mulo annuì.
La vecchia sorrise. «Vedrai che non ti prenderanno mai più in giro.» Gli versò il tè e gli servì una fetta di torta. Mulo guardò estasiato le sue labbra. Quella vecchia era così intelligente, e gli aveva dato dei consigli fenomenali. Aveva avuto una vita così avventurosa che lui non si sarebbe mai stancato di ascoltarla.
Lei indicò un punto nel giardino. «Quando avrai finito, mi aiuteresti a scavare una buca laggiù. Devo piantare un albero, un grosso albero.»
Mulo annuì tutto felice.
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