Night

A volte, togliersi un sassolino dalle scarpe può essere ben più che liberatorio. Un racconto di Enrico Nottoli.

 
Stavo guidando. Era notte e pioveva cenere. Le altre macchine non facevano che spararmi i loro abbaglianti in faccia. Avevo la nausea. Quel kebab non ce la faceva ad andarmi giù. E poi erano tre anni e sei mesi, sì, tre anni e sei mesi che stavo con lei. Ma due sere prima aveva deciso di mollarmi. Troppo apatico, diceva che non riuscivo a motivarla. La facevo sentire banale.
Se c’è un regalo al mondo che un uomo possa fare a una donna è farla sentire importante. Non servono trenta centimetri. Basta farle emozionare.
Ma si vede che io non ci ero riuscito.
Per questo venne da me e mi fece: «Basta.»
«Basta cosa?» dissi.
«Basta stare con te.» disse.
Io avrei voluto dare spiegazioni ma non me lo permise. Volevo chiederle scusa o gridarle: “Puttana!” dalla finestra mentre la vedevo andar via. Nulla.
E così eccomi lì, quarantotto ore dopo, a guidare verso “Le ali della notte” il night appena fuori città.
Arrivai e parcheggiai. Scesi sporcandomi subito di fango il risvolto dei jeans.
Imprecai. Entrai.
Presi una birra al banco. Dieci euro, Cristo santo. Mi misi a sedere su una delle poltroncine sotto al palco. Sopra c’era una bella donna, qualche segno dell’età che le dava carisma. Occhi tristi, abbastanza da farti sentire debole.
Continuai a guardare e buttare giù qualche sorso. Ma non riuscivo ancora a credere che io fossi lì e lei da qualche parte.
«Sei solo?»
Girai gli occhi. Era una ragazzina di vent’anni. Bionda con la carnagione chiara.
«Così sembra.»
«E che ci fai da solo?»
Tornai a guardare lo show.
«Cerco amore, come te.»
Fece una risata. Non so perché.
«Vieni con me allora.»
Mi prese per mano e mi portò in una stanzetta privata, e con privata intendo che c’era una tendina rossa a dividere noi dalla sala. Comunque mi fece sedere su una poltroncina in pelle e si chiuse le tende dietro. Ok, pensavo, basta stare concentrato sul culo. Oh sì, guarda là amico, mi dicevo, non puoi fartelo scappare!
La ragazza si venne a sedere su di me, le gambe larghe sui miei fianchi e le nostre bocche pericolosamente vicine.
«Allora, ti vuoi divertire?»
«Mi voglio divertire, baby!»
Baby non si poteva sentire.
«Fanno cento.»
«No problem, piccola!»
Sfilai il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e presi due pezzi da cinquanta. Lei me li tolse di mano e le infilò in una pochette che aveva con sé.
«Lasciami fare» disse scivolando verso il basso.
Strano a volte. Avevo una biondina mozzafiato impegnata a darsi da fare con me e io che mi logoravo ancora per quella stronza della mia ex. Sono sicuro che fosse perché non mi aveva dato modo di mandarla a quel paese.
Ancora insabbiato nei miei pensieri, vidi la ragazza risalire su, fissarmi e dire una frase che mi lacerò: «Il tuo compagno non se la passa bene.»
Guardai giù. Infilai i pantaloni, la salutai e tornai alla macchina. Avevo fatto cilecca, incredibile.
Era questo l’amore?
Presi il cellulare e chiamai la sola donna che volevo.
«Pronto?»
«Aurora?»
«Sì.»
«Puttana!»
Riagganciai e me ne tornai dalla biondina.

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