
Non c’è un’età precisa per “diventare grandi”… Secondo classificato nella Quinta Edizione della Quinta Era con Emanuele Manco come guest star, un racconto di Raffaele Marra.
«Mo’ che papà non c’è più, e c’hai dodici anni, devi darmela tu una mano.»
Nino guardò il fratello con stupore. Era la prima volta che Rocco gli parlava così: “da uomo a uomo”, dicevano in TV.
«A che fare?»
«C’ho uno, a Pagnotta, chiuso. Per fare un po’ di soldi.»
Nino cercò di nascondere il tremore.
«Ma non lo devi dire a nessuno. Che ci arrestano. O ci ammazzano proprio!»
«Ma proprio a Pagnotta?»
Pagnotta fu un brigante. Lo presero, lo uccisero, lo seppellirono da qualche parte alle porte del paese. Quella terra maledetta prese il suo nome.
Non ci devi andare, che c’è lo scheletro di Pagnotta, diceva suo padre.
E proprio là, in cima a quel calanco rugoso, là dove le case cedevano a un dirupo di creta e macchia mediterranea, mangiata dal sole e dagli sterpi, resisteva ai decenni la vecchia casedda. La famiglia di Nino si era trasferita alle case popolari, ma la casedda serviva ancora per l’olio e il vino nuovo.
E per i rapimenti.
Nino smise di essere bambino quella sera stessa, quando ebbe il coraggio di andare per la prima volta a Pagnotta.
«È sotto al pavimento, nella botola», fece suo fratello chiudendosi la porta alle spalle.
Rocco aveva vent’anni e guidava il vecchio fiorino. Quel pomeriggio aveva pedinato l’uomo, lo aveva tramortito, legato e buttato dentro. Lo aveva trasportato avvolto nelle coperte delle olive e lo aveva rinchiuso nella casedda.
«Statti attento, Nì. Io tra tre giorni torno dalla trasferta; vieni qui ogni tanto per controllare un attimo, dagli un po’ di pane e la bottiglia, e vattene subito. E speriamo che stavolta pagano!»
Quella notte non dormì, e il mattino saltò la scuola.
Lasciò sua madre a lamentarsi sul letto e corse alla casedda a prima mattina.
Si chiuse dentro, provando a non pensare alla storia del brigante. Si fece un frettoloso segno di croce, quindi sollevò la botola.
Cercò di non guardare mentre il sole invadeva il palmento. Lanciò nel buco pane e acqua, poi lasciò che la botola si richiudesse pesantemente mentre, stanco, si levava il rantolo del prigioniero.
Lo sforzo lo fece cadere di schiena a terra. Sulla botola ormai chiusa, vicino ai suoi piedi, Danzava lenta una nuvola di polvere. Negli occhi di Nino erano rimaste impresse le immagini di quell’istante: il buio, il raggio di sole, le mani imploranti dell’uomo e, più in basso, uno scheletro affogato nella terra.
Mo’ che papà non c’è più, e c’hai dodici anni, devi darmela tu una mano
Ci mise due ore a capire, molto di più a decidere. Nella notte tornò e, senza più paura, aprì la botola.
«Vattinne», disse all’uomo aiutandolo a salire. Quello sparì senza fiatare.
Nino restò per un po’ a fissare il buco nel pavimento, male illuminato dalla torcia. Lo scheletro era lì, e chissà quanti altri corpi c’erano.
E speriamo che stavolta pagano!
Ma le vittime di suo padre e suo fratello non gli davano più paura. Ora si sentiva pronto persino ad affrontare il rientro di Rocco.
Forse lo scheletro di Pagnotta non c’era mai stato, ma il suo coraggio, quello ormai faceva parte di lui.