Piccolo mondo

Sfioro con il polpastrello il touchpad e ruoto in senso orario. Tendo il collo per avvicinare il viso allo schermo e sbatto le palpebre. L’immagine inizia a prendere forma, prima una matassa di colori confusi, sovrapposti, poi forme e confini sempre più nitidi.
«È straordinario.» Sul monitor di fronte a me sorge un intero, piccolo mondo. «Non è un semplice formicaio, è qualcosa di più… complesso.»
«Che ti avevo detto, Ryan.» Klaus mi posa una mano sulla spalla, la sua voce è gonfia di emozione. «Le parole non sono sufficienti. Bisogna osservarlo in prima persona per poter capire. Ingrandisci ancora.»
Poggio pollice e indice sul sensore. Mentre li allargo l’immagine sullo schermo cresce di conseguenza. Ma è dopo aver regolato la messa a fuoco che capisco cosa sto osservando.
«Case.» Fatico a deglutire per l’emozione. «Hanno costruito delle vere e proprie case.»
«E non solo.» Mi indica altre figure sullo schermo. «Hanno anche degli edifici comuni. Mense, mi pare, e ospedali. E questo credo che sia addirittura una specie di luogo di culto. Una chiesa.»
«Non è possibile. Le formiche non possono…»
«Quelle non sono più formiche. Si sono evolute. Io le ho fatte evolvere. E guarda bene adesso.»
Esce dalla stanza e si dirige verso la vasca.
«Cosa devo guardare?»
«Tieni la camera fissa sulla chiesa.»
Le guardo entrare in processione nell’edificio, una piramide che svetta in mezzo alle piccole case di argilla. Quanti sviluppi potrebbe avere questo esperimento? E non solo in entomologia, ma anche riguardo alle scienze sociali e gli studi antropologici. Klaus ha ragione, non sono più formiche. Hanno assunto una posizione quasi eretta, indossano delle specie di modesti indumenti, ricavati da foglie e paglia. Realizzano opere complesse e la loro interazione sociale sembra così elaborata, così accurata…
L’immagine sullo schermo viene sostituita da una macchia nera. Dura qualche istante. Quando la visuale riappare, ci sono solo macerie e corpicini schiacciati.
«Santo cielo! Che diavolo è successo?»
«Studio la loro reazione agli imprevisti.» Klaus rientra nella sala monitor, nelle mani stringe una lunga bacchetta, sul viso ha un sorriso soddisfatto. «La loro capacità di resistere alle difficoltà, di ricostruire dopo una catastrofe. È per la scienza.»
«Ma… ma loro…»
Scoppia a ridere. «Ti stai preoccupando per degli insetti?» Spalanca gli occhi, il suo sorriso diventa beffardo. «Siamo scienziati, ricordi? È necessario il distacco dall’esperimento. Gli specchi, le lenti, ce li fanno apparire vicini, come esseri umani in miniatura. Ma noi dobbiamo mantenere la giusta distanza. Sono solo i nostri oggetti di studio.»
Lo osservo in silenzio per qualche istante. Parla come uno scienziato, Klaus, ma si atteggia come un piccolo dio capriccioso.
 
Attraverso la strada e imbocco la via di casa sua. Stamani Klaus doveva passare a prendermi per andare in laboratorio, ma non si è fatto vivo e non risponde al telefono. Non vorrei che si fosse sentito male.
Davanti alla casa c’è un’ambulanza parcheggiata. Aumento il passo e di riflesso mi gratto dietro al collo. Deve essere un prurito nervoso, non mi ha dato pace per tutta la notte.
«Klaus!» È lui quello steso sulla barella. Mi metto a correre, mentre i paramedici lo sollevano e lo caricano in ambulanza.
Uno di loro mi si para davanti. «Salve. È un suo conoscente?»
«Sono un collega.» Provo a sporgermi oltre la sua spalla ma stanno chiudendo lo sportello. «Che cosa gli è successo?»
«Il suo amico è ridotto parecchio male. Un grave shock anafilattico. Le assicuro, non avevo mai visto nulla del genere, il corpo è ricoperto di bolle, come migliaia di minuscole punture d’insetto.»
Resto senza parole. E senza saliva.
Di colpo il prurito mi pare più forte. Insopportabile. La mano scatta sul retro del collo e inizia a grattare, strofinare, graffiare.
Dobbiamo mantenere la giusta distanza, mi dicevi, Klaus. Forse, se l’avessimo fatto, loro l’avrebbero mantenuta da noi.