
Il racconto vincitore della Two Days Edition con Roberto Bommarito nel ruolo di guest star. Ambra Stancampiano ci racconta la storia di una novella Mowgli e della sua scoperta di un mondo che, nonostante razze e specie diverse, cela gli stessi difetti.
Devo assolutamente tornare a casa, qui non posso essere felice.
Purtroppo sarà più facile a dirsi che a farsi, ed io non spiccico una parola da anni. Rendo l’idea?
In effetti rimanere zitta mentre tutti mi fissano ed aspettano che io faccia qualcosa non è molto educato, ma di parlare non mi va. Non saprei cosa dire: da piccola badavo alle capre, mica andavo a scuola. Nessuno poteva immaginare che un giorno sarei stata così interessante.
Questi giornalisti sono una manna per mio padre, che fino a ieri era poverissimo ed oggi, grazie a me, è l’uomo più ricco del villaggio. I vicini lo guardano con un misto di pena ed invidia: nessuno vorrebbe essere al suo posto, ma tutti quei soldi, tutti questi stranieri, chi li aveva mai visti?
Ogni giorno arrivano jeep da Phnom Penh, piene di gente che vuole vedermi. Gli abitanti di Oyadao, davanti alla nostra capanna, cercano di farsi notare dai turisti per mettersi al loro servizio, sovrastandosi l’un l’altro con la voce o venendo alle mani, tutti presi da una strana febbre.
Tutti, tranne mia madre: lei non ha occhi che per me.
Gli occhi di mia madre sono grandi e stanchi, anche se dalla piega delle rughe che li circondano si vede che una grande gioia ha preso il posto di una tristezza immensa. Ride con gli occhi e mi guarda. Con amore, anche quando faccio qualcosa che per lei è strana. Mi parla come quando ero bambina: dolcemente, con parole semplici. Spera che io le risponda, o che qualcosa nel mio sguardo, nel mio viso, le indichi che ho capito; se la mia impassibilità la delude, non lo dà a vedere. Sono la sua bambina sperduta e ritrovata. Non si è lamentata nemmeno quando le ho fatto un occhio nero, l’altro giorno, mentre cercava di abbracciarmi. E’ stato allora che ho avuto la certezza che non vado bene per loro, e loro non vanno bene per me. Devo tornare a casa.
Per fortuna Mohok mi ha insegnato a strisciare dietro le spalle degli uomini senza che loro si accorgano di nulla; non è facile rubare il cibo nelle capanne di questi tempi: perfino io sono stata beccata. Meno male che mia sorella Shanti, che dovrebbe farmi da guardia, non è sveglia come quello che mi ha incastrata. Che gli spiriti di palude se lo portino!
Ora, solo una passeggiata tra le capanne e poi l’abbraccio umido della Giungla, con il suo caldo soffocante, i suoi rumori mai uguali, i suoi odori marci e stucchevoli… meraviglioso. E giurerei di aver sentito delle voci amiche…
Mamma! Papà! Sono venuti a prendermi! Ed hanno portato tutto il branco, e degli amici, e delle altre scimmie che non conosco! I rami tutto intorno a noi sono strapieni di scimmie di tutte le razze e dimensioni, e tutti mi guardano:
«Figliola!» Mia madre mi salta in braccio da un ramo appena sopra la mia testa. «Mi sei mancata tantissimo!»
Mi commuovo, e la cosa è così umana che mi fa un po’ senso. Spero di non aver preso troppe cattive abitudini con la mia famiglia biologica, non voglio fare brutte figure con la mia famiglia naturale. Si avvicina anche mio padre. Le altre scimmie ci guardano dai rami con curiosità ed impazienza. Sussurro:
«Ma chi sono tutti questi?»
«Scimmie di altri branchi, tesoro» mi dice la mamma «vogliono solo farti qualche domanda sugli uomini.»
«E mi hanno pagato profumatamente!» aggiunge papà, gonfiando il petto.
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