
Un pezzo di Luca Tarenzi, la guest star del gennaio 2016 di Minuti Contati.
Il giovane re abbassò lo sguardo sul cerchio istoriato di simboli, dove il demone prigioniero sibilava raspando con gli artigli contro la pietra del pavimento. I fumi di zolfo non si erano ancora dissipati, e il re pensò tristemente che la sua barba avrebbe continuato a puzzare per ore.
Si schiarì la voce. «Cos’è questo… coso?»
L’angelo Marut, in piedi al suo fianco, lo fissò con occhi color argento, alzando un sopraciglio. «È un Imp.»
«Un che?»
«Un Imp. Un demone di rango minore.»
L’altro si grattò la barba, da cui uscì un refolo di fumo che lo fece starnutire. «Ma è… sì, insomma, è piccolo.»
«Naturalmente. È un Imp. Ciononostante si tratta di un autentico demone: lo hai evocato tu, direttamente dal Primo Cerchio dell’Abisso.»
«Sì, ma è piccolo! Piccolo sul serio. Potrebbe lottare con uno scoiattolo. E sinceramente scommetterei sullo scoiattolo.»
L’angelo esalò un sospiro che fece tremolare i suoi lineamenti efebici. «Nobile Salomone, tu mi hai chiesto di insegnarti l’arte di richiamare spiriti infernali sulla Terra, e io ti ho accontentato.»
«Spiriti infernali! Se sento le parole ‘spiriti infernali’ io penso a mostri e giganti, penso alle fiamme, ai fulmini e ai venti di tempesta! Questo qui i veri demoni non lo vorrebbero neanche come colazione.»
L’Imp emise uno stridio acuto e uno sbuffo di fiamme gialle, chiaramente risentito.
«Devi essere paziente» riprese l’angelo in tono monocorde, scuotendo i lunghi capelli di un biondo diafano. «La magia è un’arte sottile, che richiede grandissima attenzione e non tollera allievi precipitosi. L’Altissimo ti ha fatto un immenso onore mandando me a istruirti nei Misteri: ben pochi sono i mortali che hanno guadagnato un tale favore agli occhi del Cielo.»
«La pazienza è una grande virtù che trasforma i lavori lunghi in imprese senza fine» tagliò corto l’altro. Si voltò verso la finestra ad arco oltre la quale, nella spianata di terra nuda battuta dal sole, si innalzavano i ponteggi di legno e le mura abbozzate di un cantiere di enormi proporzioni. «L’Altissimo mi ha onorato davvero, lo so, e io intendo onorare Lui costruendo il tempio che Gli ho promesso. Ma il progetto che mi hai fatto vedere è una cosa folle, immensa. I miei operai ci metteranno decenni a realizzarlo senza un aiuto soprannaturale.»
«È precisamente per questo che mi trovo qui.»
«Vuoi dire che ti occuperai tu del mio cantiere?» fece il re speranzoso.
«Neanche per idea!… Voglio dire… no, mi dispiace: non ne possiedo la facoltà. Ma ti darò i mezzi per ottenere l’aiuto che cerchi.»
Salomone piegò il pollice in direzione del cerchio. «Evocando creature come quella?»
Marut rimase in silenzio diversi secondi. «Potresti evocarne tanti.»
«Tanti quanti? Ce ne vorrebbero quattro per spostare un mattone…»
L’angelo sembrò preso da un improvviso interesse per le lunghe maniche bianche della propria veste, e Salomone tornò a voltarsi sconsolato verso il piccolo demone.
«Chi sei, Creatura delle Tenebre?» Con il dito il re disegnò nell’aria un Segno di Potere. «Ti comando di dirmi il tuo nome!»
Per tutta risposta l’Imp si acquattò a terra e lo fissò con gli occhietti rosso fuoco, rugliando.
«Lo conosci, il suo nome» fece Marut. «Lo hai usato nell’evocazione.»
«Lo so! Voglio solo sentirmelo dire da lui.»
L’angelo volse gli occhi altrove. «Ahem… non può.»
«Cioè?»
«Quelli così… piccoli non hanno il dono della parola.»
Salomone si massaggiò la fonte. «Credo che per oggi abbiamo finito.»
«Molto bene» replicò l’altro in tono un po’ troppo sollevato. «Domani all’ora sesta ripeteremo l’evocazione, poi ti insegnerò come piegare il demone ai tuoi voleri e rinchiuderlo in un anello.»
«Per quello lì basta anche un barattolo» bofonchiò Salomone.
L’Angelo non diede segno d’aver sentito: si inchinò, spalancò le braccia e si dissolse in una nube color perla dal vago profumo di sandalo.
Il re si appoggiò di schiena al tavolo ingombro di rotoli, tavolette e materiale per scrivere e fissò il mostriciattolo, che ora stava percorrendo il perimetro del cerchio e annusando i sigilli con aria disgustata.
«È ora di rimandarti a casa» sospirò.
Il demone lo guardò di traverso, starnutendo una fiammella.
«Se per caso giù nell’Abisso hai qualche cugino bello grosso, uno che abbia voglia di spostare qualche migliaio di tonnellate di pietra, digli che qui c’è chi gli darebbe volentieri lavoro…»
Prevedibilmente, l’Imp non diede segno di risposta. Salomone prese la tavoletta dove si era appuntato le Parole e i Segni che Marut gli aveva insegnato: tracciò con cura un Segno nell’aria, pronunciò la Parola del Congedo e il piccolo demone si dissolse in una nuvoletta di scintille, misera anche quella.
Il re suonò una campana per richiamare i servi, sedette al tavolo e cercò di distrarsi sbrigando un po’ di corrispondenza di stato, mentre il personale del palazzo ripuliva il pavimento dalle tracce del cerchio.
Quando rialzò la testa, ore dopo, i servitori avevano finito e se n’erano andati in rispettoso silenzio, tutti tranne uno. Un uomo alto in vesti grigie, che lo osservava in piedi accanto alla finestra.
Salomone lo guardò di rimando. «Che c’è?»
L’altro sorrise. «C’è che il cantiere là fuori procede più lento di una tartaruga.»
Il re aggrottò la fronte: da quando in qua un servo osava rivolgersi a lui in quel modo?
Ma prima che avesse la possibilità di replicare l’altro venne avanti fino al tavolo, e Salomone spalancò la bocca. «Tu non sei un essere umano! Lo leggo nei tuoi occhi.»
Lo sconosciuto chinò la testa in segno d’assenso. Aveva un bel viso aristocratico dai lineamenti aguzzi, labbra sottili e riccioli neri come la pece. Attorno a lui aleggiava uno strano odore, acre, come di roccia surriscaldata.
Il re piegò la testa di lato. «Chi sei? Cosa vuoi da me?»
«Aiutarti. Tu sei il prediletto del Cielo.»
«Sei un angelo?»
«Innegabile.»
«Allora quella è la porta.»
L’altro alzò le sopracciglia.
«Ne ho fin qui sopra dell’aiuto degli angeli, sai? C’è già Marut che mi tedia ogni volta che pare a lui, presentandosi a farmi lezione quando gli fa comodo, trattandomi come un raccomandato e promettendo grandi Segreti che regolarmente non arrivano mai…»
Il sorriso dell’altro si allargò. «Gli angeli non insegnano volentieri la loro sapienza ai mortali, nemmeno quando ricevono ordine di farlo da molto in Alto.»
«Dunque?»
«Dunque io posso darti quel che loro ti negano. Lascia perdere Marut e le sue lezioni ammorbanti: io posso darti i mostri, i giganti e i venti di tempesta.»
Salomone sgranò gli occhi. «E tu come fai a sapere…»
«Agli Imp manca la lingua, non le orecchie.»
Il re impiegò un secondo a riprendersi dalla sorpresa. «Così tu saresti il… cugino grosso degli Abissi?»
«Diciamo più il capo di tutta la baracca.» L’angelo dai riccioli neri si leccò le labbra, e a Salomone non sfuggì il guizzo della lingua vermiglia e biforcuta, da rettile.
«Che sei venuto a fare qui?»
«Te l’ho già detto: a offrirti aiuto.»
Il re strinse gli occhi, guardingo. «Perché?»
«Ho le mie ragioni.» L’angelo lanciò un’occhiata studiatamente distratta al di là della finestra, verso il cantiere che rosolava sotto il sole. «Chi lo sa quali conseguenze possono venir fuori da certi progetti, col tempo.»
Salomone scosse la testa. «Dovrai fare ben di meglio se vuoi che ti presti ascolto, Serpente del Giardino.»
L’altro sorrise di nuovo, a labbra distese. «Non ti fidi di me? Eppure io sono l’unico tra tutti gli angeli ad aver sempre e solo aiutato gli uomini, fin dall’inizio.»
«Il tuo ‘aiuto’ li ha fatti cacciare di casa a pedate, gli uomini dell’inizio.»
«Ma che dici? Semmai li ha liberati da quel serraglio dove stavano chiusi come bestiame da esposizione. Lo sai che non avevano neanche il permesso di vestirsi?»
Il re alzò gli occhi al cielo. «Non ho intenzione di mettermi a discutere col sofista più vecchio dell’universo.»
«Però la mia proposta ti tenta» insistette l’altro, senza smettere di sorridere.
Salomone tacque per un lungo istante. «Non mi hai ancora detto cosa vorresti in cambio.»
«Invece l’ho fatto: molla il tuo angelucolo e diventa mio discepolo. Ti insegnerò più Parole e più Segni in un mese di quanti ne caveresti in un secolo a quel morto di sonno con la toga.»
«Penso che l’Altissimo non gradirebbe. E quando Lui non gradisce, mette mano alle folgori.»
«Ma tu completeresti il Suo tempio, e questo Lo calmerebbe alquanto.»
Stavolta il silenzio del re durò ancor più a lungo. «Ho tempo per pensarci?» chiese infine.
L’altro aprì le braccia. «Quanto te ne serve. Io ho un’eternità davanti a me; tu no.»
Salomone strinse gli occhi, e un lievissimo sorriso gli aleggiò sulle labbra. «Allora torna domani all’ora sesta, e avrai la mia risposta.»
L’angelo moro annuì soddisfatto, fece un profondo inchino e svanì in uno sbuffo di ombre.
Il mattino seguente Salomone aveva già preparato ogni cosa ancor prima che sorgesse il sole, e all’avvicinarsi dell’ora sesta misurava a passi nervosi il salone dalle ampie finestre che davano sul cortile del palazzo. Solitamente incontrava Marut in una sala più piccola, ma quel giorno lo aspettava nel salone principale, dove aveva fatto sistemare file e file di tendaggi colorati che nascondevano alla vista le pareti.
Si accostò a una finestra, fissando la meridiana che sorgeva in mezzo al cortile: l’ombra dell’asta scorreva lenta sulla superficie graduata, un minuto dopo l’altro, e nel preciso momento in cui toccò la tacca dell’ora sesta nella sala si diffuse il familiare profumo di sandalo. Questa volta mescolato a un odore più insolito e meno gradevole, come di pietre arroventate.
Il re si voltò, ma nessuno dei due angeli stava guardando lui: ciascuno fissava l’altro a bocca aperta, occhi neri contro occhi d’argento, in quel silenzio attonito e imbarazzato che solo un incontro imprevisto può produrre.
Salomone si schiarì la voce. «Marut, ti presento la Stella del Mattino.»
L’angelo biondo si voltò verso il re con occhi che sprizzavano scintille d’indignazione. «Cosa diavolo ci fa questo…»
«È mio ospite, esattamente come te.»
«Ospite?!»
«Proprio così. Anzi, a dirla tutta potrebbe essere il tuo rimpiazzo.»
L’incarnato marmoreo di Marut si fece se possibile ancor più pallido. «Non è…»
«Si è offerto di istruirmi al posto tuo. Anche se non mi ha ancora mostrato nulla» aggiunse Salomone guardando di traverso il Serpente, che alzò un sopracciglio.
«Mi stai chiedendo una dimostrazione?»
«Ci puoi scommettere. Vuoi che creda sulla parola a uno che chiamano il Padre delle Menzogne?» Il re intrecciò le dita. «Se davvero sei il Signore di tutti i demoni dell’Abisso, chiamane ora uno per me. Uno grande e terribile, che so… un Urlatore del Deserto!»
Marut spalancò allarmato la bocca, ma prima che potesse emettere suono l’altro lanciò nell’aria una raffica di parole e gesti, e il cielo fuori dalle finestre si fece cupo da un istante all’altro. Poi una tremenda folata di vento riempì la sala di sabbia e l’Urlatore volò dentro ruggendo, tutto ali turbinanti e fauci spalancate che vomitavano torrenti di polvere.
Nel caos di oggetti che volavano in ogni direzione Salomone, che si era gettato sotto un tavolo, vide Marut togliersi dal dito un anello e urlare gesticolando nel vento. Il demone si volse di scatto verso di lui, ruggì e fu risucchiato in un lampo nel cerchietto di metallo.
Ma il silenzio che seguì non durò nemmeno due secondi, perché il Serpente mandò un sibilo indispettito e con un’altra sequenza di gesti fece volare via dalla mano dell’angelo l’anello, che esplose a mezz’aria con un fragore di tuono liberando di nuovo il demone. Marut spalancò le braccia, i capelli e la veste che sbattevano nel vento, e urlò con quanto fiato aveva in faccia al mostro di polvere, costringendolo ad arretrare fino alla finestra. Poi con un gesto lo espulse all’esterno.
E un attimo dopo i due angeli furono alla gola l’uno dell’altro, a gridarsi fiumi di formule che riempirono il salone di lampi fumosi e scie accecanti di scintille, salendo sempre più di volume finché una coppia di detonazioni gemelle spazzò la sala da un capo all’altro, rovesciando qualunque cosa fosse ancora in piedi.
Nella quiete assordante che venne dopo Salomone si rialzò lentamente in piedi, frastornato, battendosi con le mani le vesti impregnate di fuliggine e sabbia. Si guardò bene attorno, per assicurarsi che i suoi due ‘ospiti’ si fossero davvero banditi a vicenda, poi andò al tendaggio più vicino e lo sollevò. Ne uscì uno scriba pallido come uno straccio, che si stringeva convulsamente al petto lo stilo e la tavoletta cerata.
«Tutto bene?» chiese il re.
L’altro annuì, non tanto convinto.
Uno a uno, tutti gli scribi nascosti dietro alle tende uscirono allo scoperto, con le labbra bianche e le vesti in disordine. Ma ognuno teneva stretta in pugno la sua tavoletta.
Salomone si guardò intorno. «Avete scritto tutto?»
Tutti annuirono e, a un cenno del re, impilarono le tavolette davanti a lui, prima di ritirarsi a passo malfermo.
Salomone le passò in rassegna una dopo l’altra, e a ogni riga di appunti che gli scorreva sotto gli occhi il suo sorriso si faceva sempre più ampio.
Le Parole e i Segni.
Per richiamare un demone e per scacciarlo, per costringerlo e per liberarlo, e persino quelli per rispedire un angelo in Cielo, o all’inferno.
Con le braccia cariche di tavolette il re andò alla finestra e levò gli occhi sulla spianata del cantiere, che adesso non sembrava più tanto gigantesco e irraggiungibile. E dopo quello chissà cos’altro, quali altre imprese, ora che non erano più angeli, demoni e spiriti vari a comandare a bacchetta e a tenere i cordoni della borsa.
«Avevi ragione, Marut» mormorò. «La magia è davvero un’arte che richiede grandissima attenzione. Più di quanta ne abbiano un paio di angeli che hanno voglia di mettersi in mostra.»
Ma avrebbero avuto di che discuterne quando l’angelo biondo fosse tornato a trovarlo. Solo che questa volta, sorrise Salomone, sarebbe stato lui a decidere il giorno e l’ora.