Rewind

È notte, il canto dei grilli e il frusciare delle fronde degli alberi circondano il granaio. La luna illumina il verde delle assi in legno, che contrasta con il pallore della villetta poco distante. La casa è disabitata: assi divelte alla finestra, porta sbarrata e davanti a essa una zanzariera forata e traballante. Nella calma della campagna, un suono ritmato si confonde nella natura; è come se dei tuffatori professionisti entrassero nell’acqua uno dopo l’altro, a costanti e regolari intervalli.
Se solo qualcuno si potesse affacciare dalle alte finestre del fienile, allora lo vedrebbe: Fulvio. Veste una pesante camicia rossa da boscaiolo, a quadrettoni, e in mano brandisce proprio una grossa scure. Ma non sta spaccando la legna, quanto le ossa di un corpo dilaniato che, se non fosse per quel particolare ancora intatto, non si capirebbe essere appartenuto a un uomo. Fulvio è completamente zuppo di sudore e sangue, la barba è fradicia e i riccioli biondi riflettono la tenue luce della lampada a olio, posata sul ceppo poco distante. Sotto il tronco, tra la paglia, un vecchio e taciturno stereo ovale fa compagnia a un bustone nero in plastica, tutto accartocciato.
Il fieno, di cui il granaio è stracolmo, sembra aspettare l’amata scintilla per poter incenerire tutto, ma per ora si deve accontentare dei brandelli di interiora e dei pezzi di arti mutilati. Fulvio grugnisce nello sforzo del duro lavoro, eppure non frena la meticolosa opera da macellaio. Si mantiene costante nei movimenti, come se la precisione dei suoi rintocchi fosse essenziale per la buona performance della sua band.
 
Fulvio è un virtuoso, usa abilmente tutti gli attrezzi del mestiere. Passa dalla scure al rastrello come Dave Grohl alterna la chitarra alla batteria. Dopo aver raccolto in un unico e compatto cumulo tutta la poltiglia vermiglia, frutto della sua opera, decide che il momento della radio è arrivato: colpo sicuro sul tasto PLAY e i Foo Fighters possono partire con Everlong. Ha già recuperato da terra il bustone, quando un assonnato sbadiglio lo sorprende. «Fanculo, cambio di programma.» Getta il sacco per terra, prende la lampada a olio con una mano e, con l’altra, afferra lo stereo. Mentre osserva quel che resta di Gianni, scaraventa la fiamma alle sue spalle: il vetro si rompe, l’olio si dipana e il fuoco trova scintillanti alleati.
 
Quando Fulvio raggiunge il suv, riponendo lo stereo sul sedile del passeggero, le fiamme sono alte e qualcuno deve averle già notate. Le sirene che sente sono quelle dei vigili del fuoco. «Merda.» Un gesto di stizza, un colpo al volante. «Troveranno il cadavere.» Si accascia sullo schienale, si preme le mani sul volto, attende finché la vettura dei pompieri non compare nello sterrato davanti a lui. Scuote la testa, mentre Everlong scema lasciando spazio a Walking After You. L’indice si muove sicuro:
REWIND.
 
Fulvio è un virtuoso, usa abilmente tutti gli attrezzi del mestiere. Passa dalla scure al rastrello come Dave Grohl alterna la chitarra alla batteria. Dopo aver raccolto in un unico e compatto cumulo tutta la poltiglia vermiglia, frutto della sua opera, decide che il momento della radio è arrivato: colpo sicuro sul tasto PLAY e i Foo Fighters possono partire con Everlong. Ha già recuperato da terra il bustone, quando un assonnato sbadiglio lo sorprende. «Fanculo.» Un déjà vu. Istintivamente, la mano si chiude con più forza trattenendo il sacco: il lavoro sporco non è ancora finito.
 
Quando al volante del suv osserva le fiamme librarsi nell’aria, scalfendo il buio, le sirene dei vigili del fuoco iniziano a farsi sentire. Sono abbastanza lontane perché Fulvio possa prendersi ancora qualche attimo, per immettere poi la prima e partire tra la polvere. Il rinculo della marcia fa ballare il bustone che sbatacchia contro il cofano. «Questa notte festeggiamo nei boschi, amico mio.»