
Arrivare in anticipo ti lascia tempo per pensare. A volte troppo. Dal Laboratorio un racconto di Maria Rosaria Del Ciello
Guardi l’orologio. È quello che hai ricevuto a Natale di un paio di anni fa, un modello sofisticato che riesce a fare un sacco di cose, persino indicare il grado di umidità nell’aria. Non ti piace molto, ne avresti preferito uno semplice con lancette e numeri romani per segnare le ore, ma un regalo non si rifiuta mai.
Continui a guardare l’ora. Manca un po’ all’appuntamento ma tu, come al solito, sei in anticipo.
Non ti piace far aspettare le persone. Hai sempre pensato che arrivare in ritardo sia segno di maleducazione, di mancanza di rispetto. Se ci pensi bene uno dei motivi del fallimento del tuo matrimonio è stato proprio questo.
Silvia è sempre stata in ritardo e tu l’hai sempre dovuta aspettare. Quando eravate fidanzati tardava agli appuntamenti, una volta sposati la aspettavi per ore fuori del bagno. Aspettavi che lei tornasse dall’ufficio o dalla palestra. Non si sa perché ma tu eri sempre in anticipo rispetto a lei, anche sotto le lenzuola, e così un bel giorno hai deciso. Se proprio le serviva del tempo che se lo prendesse tutto. E te ne sei andato.
Ora sei qui, ad aspettare una donna che non è tua moglie e sembra quasi che certi errori non ti abbiano insegnato nulla.
Speri che anche lei arrivi in anticipo così che tu possa godere di più della sua presenza. Hai la netta sensazione che questa sia la volta buona, che saprai far colpo su di lei. Perché lei ha già fatto colpo su di te, qualche giorno fa al telefono.
«Pronto?»
«Pronto, è il detective Diotaiuti?» aveva chiesto una voce calda e un po’ roca dall’altra parte.
«Sì, sono io. Con chi parlo?»
«Ho bisogno del suo intervento, mi perdoni. Vorrei incontrarla di persona. Non mi piace raccontare di me dentro una cornetta.»
In un attimo avevi intuito che quella donna aveva un disperato bisogno di aiuto e un detective privato non si nega mai, soprattutto quando la voce è così sensuale. Non aveva voluto aggiungere altro al telefono. Preferiva spiegare di persona certe cose. Cose intime, aveva aggiunto. E a te questa cosa era piaciuta. Parlare guardando negli occhi il proprio interlocutore è la cosa che preferisci, in assoluto. Una cosa che oggi sembra quasi essere fuori moda.
«Vediamoci lunedì, alle 19.00 in piazza del Duomo» avevi proposto. Lei aveva accettato. «Come la riconoscerò?» avevi continuato e lei si era limitata a rispondere che non era un problema perché sarebbe stata lei a riconoscere te.
Ti guardi intorno. La via è piena di gente che va e viene sul marciapiede, di automobili che strombazzano nervose ai semafori. Sei stufo di questo casino e da un po’ ti solletica il pensiero di andare via da questa città. È il lavoro che ti frega, accidenti. Un maledetto impiego appena sufficiente per vivere e diventato oramai una terribile routine. Pensare che l’avevi scelto per la tua innata voglia di avventura, di azione, ma perfino fare il detective è diventato noioso. C’è sempre di mezzo la privacy e anche scattare fotografie è una cosa complicata. Tutto può essere fonte di reato e, se non si presta la dovuta attenzione, il più delle volte vieni preso per un pedofilo o uno stalker.
Il risultato è che lavori sempre meno e il proprietario di casa reclama da mesi un affitto.
Cammini avanti e indietro sul marciapiede. A un certo punto noti qualcosa d’insolito. Osservi il tuo riflesso nelle vetrine e qualcosa non ti torna. Il vestito è a posto. Hai indosso il completo chiaro, l’unico che hai e che usi per le occasioni importanti. Noti che la cravatta è leggermente storta verso destra. Con un movimento rapido delle mani la rimetti a posto. Eppure c’è ancora qualcosa che non va. Te lo senti. Ti avvicini alla vetrina e osservi i capelli. Sembrano a posto anche loro, malgrado alcune striature grigie sulle tempie tradiscano l’età non più verde. Va be’, ci puoi stare, non sei così male.
Continui a sentire uno strano disagio. Fai un paio di passi indietro per guardarti meglio nella tua interezza, come si fa con i quadri per goderne l’insieme. Sei tu che ti muovi in maniera scomposta o sono i vetri che oscillano? Non riesci a capirlo. Eppure il tuo riflesso nel vetro del negozio è storto, non sapresti come definirlo meglio. Obliquo, forse. C’è qualcosa che non va. Ti sembra di essere fermo davanti alle vetrine e invece l’immagine che queste restituiscono si muove, quasi ci fosse un altro te che vive lì dentro.
Tutti questi pensieri e il tuo muoverti avanti e indietro ti hanno fatto distrarre e guarda cos’hai combinato.
Hai appena schiacciato una cacca di cane e la puzza ti ha avvolto. Imprechi. Hai atteso tanto questo momento e ti sei impegnato al massimo per presentarti nella forma migliore che ‘sta cacata proprio non ci voleva.
Cominci a prendertela con i proprietari dei cani. Borbotti, ti lamenti a voce bassa facendo cenni con le mani e indicando i giardinetti adiacenti alla via. Che portino lì le proprie bestiole a cacare, bofonchi. E che raccolgano gli escrementi, cacchio.
Cerchi di recuperare un po’ di lucidità per porre rimedio a quella situazione.
Noti, a pochi metri da te, un albero, un platano mezzo malaticcio, di quelli che ornano i marciapiedi delle nostre vie cittadine.
Ti avvicini. Alla base dell’albero c’è un piccolo anello di terreno in cui è cresciuta dell’erbetta che fa proprio al caso tuo. Cominci a strusciare la suola della scarpa su quella micro aiuola e un po’ ti dispiace di sporcarla con la merda che ti sei portato dietro.
Va be’, ormai è fatta. Ti senti quasi meglio quando a un tratto senti un calore leggero tra le gambe. Sul momento non comprendi, poi abbassi lo sguardo e rimani fulminato. Mancano appena quindici minuti all’appuntamento e ti stai pisciando sotto. Come un ragazzino. Non hai nessuna possibilità di rimediare al disastro. Una macchia informe che sembra una cartina geografica si è allargata sulla patta dei pantaloni ed è scesa in modo irregolare lungo le gambe. Il vestito chiaro che indossi è diventato uno spezzato in cui la parte bassa è ora decorata da un alone scuro e umido. Puoi solo augurarti che la donna che aspetti manchi all’appuntamento e tu possa tornare con calma a casa. A cambiarti.
Ti guardi intorno nel timore di incontrare qualcuno che conosci. Non ti andrebbe per niente di dover giustificare il perché delle tue condizioni.
Già immagini la scena.
«Ciao, Carlo. Che piacere vederti!»
«Ciao, scusa ma vado un po’ di fretta…» rispondi mentre l’altro ti scuote con vigore la mano destra.
«Ma, cos’è questo cattivo odore?»
«No, è che andavo di corsa. Non ho guardato per terra e ho pestato una merda di cane.»
«Accidenti, Carlo. Ma, hai i pantaloni bagnati.»
«Sì, lo so» e ti esce una risatina nervosa. «Mi sono bagnato come un cretino mentre bevevo alla fontanella.»
Bevevi. Certo! Adesso ti spieghi tutto.
Deve essere stata la birra che hai bevuto ieri sera. Non ricordi più quante bottiglie. O stamattina? Non ti era mai capitato prima. O forse è stata l’emozione. Sì, dev’essere stata quella a fregarti. L’emozione di incontrare una donna dopo tanto tempo. La birra, l’emozione, e ti sei pisciato sotto.
A un tratto la scorgi. È bellissima. Si avvicina e la sua figura si staglia come una visione tra la folla uniforme e grigia. Bionda, alta, slanciata. Sembra un fenicottero in mezzo a tante rane.
La vedi avanzare e la tua ansia cresce. Se si fosse trattato della tua ex moglie, sempre in ritardo, avresti avuto il tempo di tornare a casa a cambiarti. Invece no. Ed è pure in anticipo di qualche minuto. Possibile sia lei la donna misteriosa che ha voluto incontrarti?
E tu sei lì, puntuale all’appuntamento, con quella cacca di cane che persiste sotto le scarpe, ne senti la puzza, e i pantaloni ancora bagnati.
Chissà cosa daresti per far sì che la fata che si sta avvicinando non sia la donna misteriosa. Questa volta sarebbe perfetto se lei tardasse o mancasse del tutto all’appuntamento.
Eccola. È a pochi metri da te.
Ti passa accanto e prosegue.
«Maledetti ubriachi» la senti sussurrare, mentre la sua figura scivola via lontano, sfiorandoti appena.
La tua immagine, riflessa nelle vetrine di fronte, continua a essere scomposta e obliqua mentre i passanti ti guardano con compassione.
Sei in anticipo, anche questa volta. Ti converrà aspettare un po’ prima di incontrare la donna che fa per te.
Ti sdrai su un cartone e cerchi di addormentarti. Una bottiglia di birra ti scivola piano dalle mani. Un rumore di vetro che rotola si percepisce appena. Le automobili continuano a sfrecciare, le persone camminano veloci, qualcuno si gira a guardarti. Poi ripone veloce lo sguardo sul cammino davanti a sé.
Solo un uomo si ferma. Prova pena, glielo si legge sul volto, perché non è riuscito ad aiutarti. Ma un padre non è un mago. Le parole che vi siete scambiati sono state appena sufficienti a fargli capire chi sei oggi, quanto sei cambiato dal ragazzo di un tempo, quali sono le tue speranze infrante e i tuoi desideri ancora latenti. Ha cercato di comprenderti ma non è bastato a salvarti. Te ne sei andato sbattendo la porta quando ha provato a dirti che la dovevi smettere di piangerti addosso perché anche tu avevi le tue responsabilità. Con tua moglie, con il lavoro, con gli amici. Non è sempre colpa degli altri, cazzo.
Ora ti osserva, quando può, trascinare le giornate su questo marciapiede. Immagina le tue fantasie e le tue paure.
Oggi, per esempio, hai dato il meglio di te e come al solito sei riuscito a fare un casino. Ti ha visto mentre cercavi di liberarti di quegli escrementi pestati camminando senza guardare sul marciapiede. E poi ti sei pisciato sotto. Per un istante ha avuto l’impulso di correrti incontro e aiutarti, poi si è detto che un padre non può interferire con la vita dei figli quando hanno un’età in cui dovrebbero essere loro ad aiutare te. Così ti ha lasciato lì, a marcire nel sudiciume, sdraiato davanti a quella vetrina dove poco fa non facevi altro che specchiarti. Ti passa accanto e pensa che a stento riuscirai a vedere le sue scarpe. Rallenta l’andatura. Gli viene voglia di chinarsi e abbracciarti, dirti che non è niente, che penserà a tutto lui. Come faceva tua madre, buonanima, quando eri un piccoletto lagnoso.
Invece piega appena la schiena e lascia cadere un euro dentro il tuo cappello.
Poi continua per la sua strada.