
Questione di punti di vista e di consapevolezza di se stessi. Un racconto di Francesco Nucera.
Roberto poggiò la scarpa bianca sulla pista, si voltò, guardò Ivan e ammiccò. «Andiamo, Amo!» disse ad alta voce, per coprire il rumore di quella “musica”.
«Non credo che i ragazzi si chiamino: Amo» rispose l’amico.
«E che ne so io! Mia figlia le chiama tutte così.» Roberto portò la mano al mento e lo gratto: gli mancava il pizzetto, ma qualcuno gli aveva detto che senza sembrava più giovane. «E se ti chiamassi Bro?»
Ivan sbuffò e alzò gli occhi al soffitto.
«Perfetto, Bro, è ora di mettersi in gioco!» disse Roberto, mentre riprendeva la via della pista. Avanzò spavaldo, nei vestiti nuovi che gli erano costati l’irrigidimento della dieta.
A ogni passo, i pantaloni a sigaretta gli strizzavano le cosce e “il pacco”, che gli si era intorpidito da almeno un’ora.
Era sicuro di sé come non lo era da anni: merito dello psicologo o più semplicemente della giacca a paillettes che indossava, su cui spiccavano un arcobaleno e un disegno che avrebbe potuto fare una bambina di cinque anni. Ma era così che si vestivano i ragazzi di oggi: l’aveva visto sul poster di Mika appeso in camera di sua figlia.
Adocchiò tre ragazze, si voltò verso Ivan, che lo stava seguendo, e le indicò con il sopracciglio. Si strofinò le mani e indugiò con lo sguardo sul solco circolare che gli cingeva l’anulare sinistro. «Stavolta tocca a me!» disse fra i denti.
Ruotò sulle punte, abbassò le testa rasata e abbozzò un’andatura sciolta. Finse di guardare in un’altra direzione, ma non le perse mai d’occhio: stavano ridendo, come facevano sempre le ragazze eccitate. Gli passò accanto, fingendo disinteresse.
«Ehi, scusa!» disse una voce argentina, mentre una mano gli si poggiava sulla spalla.
Roberto si voltò mostrando l’intera dentatura.
«Potremmo fare un selfie?» chiese una delle ragazze, cercando di nascondere con una mano il sorriso.
“Sarà un nuovo approccio” pensò Roberto. «Certo» rispose, celando l’entusiasmo. Allargò il braccio e la ragazza gli si infilò sotto.
«Come ti chi…» provò a chiedere, ma un flash lo abbagliò. Disorientato, strizzò gli occhi, ma li riaprì immediatamente. La ragazza stava già scrivendo qualcosa sul cellulare. Lui le andò dietro, si allungò sulle punte e sbirciò il monitor. “STO VECCHIO SEMBRA TUO PADRE” lesse fra sé.
La ragazza, notando la sua presenza, si voltò e lo guardò titubante.
«Vado a bere qualcosa» si affrettò a dire Roberto, per levarsi dall’impasse. Fece due passi verso l’amico, che lo fissava ammirato, e gli disse: «Ce ne andiamo!»
«Di già?» chiese Ivan.
«Guarda, le ragazze sono anche carine, ma potrebbero essere mia figlia. E poi sono troppo facili.»
Roberto poggiò la scarpa nera sulla pista, si voltò, guardò Ivan e ammiccò. «Andiamo!» disse ad alta voce, per coprire la musica di Raul Casadei. Alzò lo sguardo e vide due donne che gli sorridevano: a occhio e croce potevano avere vent’anni più di lui.
“Balliamo?” chiedeva il labiale di una delle due.
Espirò e sorrise, ci aveva messo un po’ a capirlo, ma c’erano diversi modi per sentirsi ancora giovane.
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