
Tante storie per una verità da seppellire. Vincitore della Settima Edizione della Quinta Era con Alessandro Vietti come guest star, un racconto di Luca Pappalardo.
Guardai lo stagno, e sorrisi.
Si raccontavano un sacco di cose, a proposito dello stagno.
Si diceva che più di trecento anni prima una Strega ci fosse affogata dentro, e che chiunque ci si avvicinava da solo fosse destinato a scomparire sott’acqua, attirato da un canto sommesso a cui non si poteva resistere.
Si diceva che durante il proibizionismo la criminalità organizzata nascondesse sul fondo dello stagno botti sigillate piene di whisky. Si diceva che un giorno una botte si fosse rotta, e che tutti i pesci fossero venuti a galla morti stecchiti, tranne uno, che era venuto a galla ubriaco. Si diceva che ora quel pesce stesse imbalsamato sopra la porta del bar del Vecchio Custer, e che cantasse per tutti quelli che entravano e uscivano dal locale.
Al termine dei nostri rispettivi e diseguali lavori io e Alfred andavamo spesso a bere nel bar del Vecchio Custer, e ogni volta che la porta si apriva e il pesce cantava io pensavo che nessuno, sano di mente, lo avrebbe mai potuto trovare divertente. Alfred, per smentirmi, rideva sempre, e a ogni sua risata il mio odio cresceva un po’ di più, anche se poi lui mi offriva da bere e io in quel bere affogavo tutto l’odio per la sua risata, tutto l’odio per i suoi soldi, tutto l’odio per la sua stupida e immeritata felicità.
Si diceva che ogni primo del mese, al chiaro di luna, sulle rive dello stagno comparisse una moneta d’oro, e che quella moneta d’oro fosse solo la piccolissima parte di un tesoro maledetto risalente al tempo delle popolazioni Azteche. Che il primo del mese potesse non esserci la luna, o che gli Aztechi non avessero mai fatto un giro dalle parti della Florida, non sembrava importare a nessuno.
Quando aveva saputo che avevo perso il lavoro, e che la banca mi aveva rifiutato anche l’ultimo prestito, Alfred aveva sorriso e detto che avrei potuto scavare le rive fangose dello stagno in cerca del tesoro. Poi si era scusato, e aveva detto “non preoccuparti, ce la farai”, e mi aveva offerto da bere, e nient’altro.
Si diceva che un assassino si aggirasse la notte nei pressi dello stagno, e per questo motivo le coppiette ci stavano ben lontane, ché comunque lo stagno non era un bel posto per le coppiette e nemmeno per i vagabondi solitari.
Giusto giusto (ma questo non lo si diceva) era un buon posto per andarci a bere con le tasche piene di sassi e un amico, quando la luna era alta nel cielo e dal fondo dello stagno la Strega cantava sommessamente, mentre l’oro splendeva sulle rive fangose e infestava i sogni dei miserabili insieme all’odio, all’invidia e ai pesci canterini.
Guardai lo stagno, e sorrisi. Si diceva che in fondo allo stagno, quando le acque erano terse e pulite, si potessero intravedere i contorni gonfi di una sagoma umana.
Ma le acque dello stagno non erano mai terse e pulite; e in ogni caso, si raccontavano un sacco di cose a proposito dello stagno.