
I corpi delle fate cadono dal cielo come foglie e il loro sangue come pioggia.
Mi desto con la certezza di aver avuto un incubo anche se rammento solo le voci d’un canto antico.
La luce del sole che entra da una finestra mi ferisce gli occhi. La tunica è inzuppata di sudore. Fasce mi avvolgono il capo. Non comprendo dove mi trovo.
Mi ergo dal giaciglio di paglia. La sala in cui giaccio è ampia. C’è un vasetto in terracotta sul tavolo alla mia destra. L’aria è pervasa dall’odore di erbe e pestilenza.
Un ospedale da campo! Come ci sono finito?
Il Sacro Bosco arde di fiamme cremisi mentre il canto delle fate si trasforma in urlo di dolore.
Rinuncio a scavare nei miei pensieri; ciò che ho visto in superficie basta già per una dozzina d’incubi. Un giovane dal volto mite entra nella sala.
“Generale, vi siete destato finalmente!” esorta con tono familiare.
Il paggio mi guarda con gratitudine, ma non ne comprendo la ragione.
“Generale?” ripeto esitante. “Io?”
“Non rammentate ancora? È trascorso un mese dalla battaglia. Siete un eroe adesso!”
“Eroe? Perdonami. Non ricordo davvero.”
Il giovane pare deluso, ma poi sorride, comprensivo.
“I medici hanno detto che soffrite d’amnesia post-bellica. La memoria tornerà col tempo. Non temete.”
Forse, non lo desidero.
Le mie mani intrise del loro sangue.
Il sole cala oltre la finestra. Una lacrima scivola sul mio viso e corre fra la barba grigia.
Un anziano si avvicina al mio giaciglio. Indossa una cappa di lino bianco e un cappello a tesa larga.
“Generale, posso parlarvi?” mi chiede con voce calma. “Sono il Gran Maestro dell’Ordine del Garofano. Nella capitale vi chiameranno eroe, ma io so cosa avete fatto. La vostra ultima vittoria è stata ottenuta tramite l’uso di un’arma proibita e terribile, nota solo a pochi.”
“Pro.. Proibita?”
Il vecchio annuisce. “Conoscevate il prezzo di quel potere. Molti di coloro che sono scampati alla battaglia periranno a breve. Il rimorso vi consumerà. Il re mi manda per aiutarvi, ma in realtà vi è poco che posso fare per voi.”
Il vento ulula tra gli alberi, portando con sé le voci degli uomini morenti e delle fate.
L’anziano mi prende la mano e studia l’anello d’oro bianco e la pietra di malachite incastonata su di esso. “L’anello di Oblivion. Conosco questo artefatto. Cancella i ricordi ma per attivarlo occorre…”
Prende il vasetto dal tavolo.
“Sangue di fata. Molto astuto. Badate però: non seccherà mai, ma usatelo con parsimonia. Non sono rimaste più fate in questo mondo.”
Me lo porge.
Valuto l’offerta. La tentazione di dimenticare è forte. Vorrei liberarmi dal peso della colpa e dai canti che infestano la mente, ma anche ciò ha un prezzo.
Ho impiegato tutto il giorno per richiamare a malapena il volto di mia moglie, dei miei figli e dei miei compagni d’armi. Il mio primo bacio. La prima volta che ho amato. Devo avere già usato l’anello in questi giorni.
Il canto delle fate sferraglia nella mia testa. Come una lama.
Rapido, immergo le dita nel sangue.
Tutto si dissolve nel buio e resta:
Solo il loro canto.