Svegli

L’incipit de “Dal bronzo e dalla tenebra”, il romanzo di Andrea Atzori edito con Acheron. All’epoca della sua pubblicazione su questa Vetrina, fu un’anteprima assoluta che la guest della Seconda Edizione della Quinta Era decise di concedere a Minuti Contati.

 
“Non dovremmo essere qui.”
Nora si sporgeva tra la folla. Nel brusio incessante s’udivano vagiti di bimbi, il nitrire dei cavalli, lo sbuffare dei tori aggiogati ai carri da guerra. Di fronte a lei, Isteli sgomitava per farsi spazio, il suo fiato una nube nel gelo della sera di tarda estate.
“Mamma, ho freddo,” Neema sollevò il faccino imbronciato, Nora allargò la mantella e l’avvolse stretta, seguendo il varco che Isteli apriva tra la calca. “Lo so, piccola, lo so. Stammi vicina.”
Ahdal si affiancò alla zia e spinse contro il dorso di chi stava davanti, a ormai quattro file dal campo aperto. “Non vedo nulla,” si divincolò, spingendo di lato un omone barbuto e facendo spazio per la sorellina.
“Ahdal, calmati e sta’ vicino,” Nora lo afferrò per la spalla, Isteli lo tenne dietro. “Fa’ come dice tua madre.”
“Voglio solo vedere il Custode, avere la linea di tiro libera se…”
“Non dirlo nemmeno per scherzo! Stammi vicino e…
“Mamma, ho davvero t-tanto freddo.”
Nora sfregò la spalla della piccola e le diede un bacio sul capo. La tenne stretta, gli occhi puntati oltre le teste che si sporgevano verso la piana. Nell’oscurità del crepuscolo, le ombre delle montagne incombevano sull’esercito improvvisato della lega dei nove clan, sulle genti dell’isola che dalla festa del raccolto al santuario erano accorse a valle per vedere. I falò in onore di Maimon ardevano ogni dieci passi. Il clan Arròli teneva il centro. Erano le loro terre. Era loro diritto. Ed era loro dovere, ancor più con il grosso della flotta per mare. Schieravano due dozzine di bighe, con ai lati file di arcieri con le frecce incoccate, ma basse: non bisognava provocarli.
Gli Arrìus erano sul fianco sinistro, una banda appiedata con una sessantina di lancieri che tenevano a stento a bada i cavalli su cui stavano in sella. Gli stalloni sbuffavano, agitando le criniere e pestando gli zoccoli al suolo. Sul fianco destro una trentina di Ur erano stretti in un muro di scudi. Il resto delle bande, ospiti dei clan venuti più da lontano, premeva alle loro spalle come se i colossi avessero potuto proteggerli.
Shardan. Il popolo eletto, i guardiani degli Inferi, i dominatori del mare.
Prede colte di sorpresa.
“Non dovremmo essere qui,” ripeté Nora, puntando salda i piedi per proteggere Neema da chi premeva alle spalle. Isteli sgomitò. “Merda, un centinaio di spade e un migliaio di contadini. Perché il Custode non li fa levare tutti?”
A quell’imprecazione, Ahdal si lasciò sfuggire un risolino e Nora lanciò un’occhiataccia alla sorella. Non era il momento migliore per l’educazione dei suoi figli. “Noi siamo forse diversi? Non dovremmo essere qui, Isteli.”
“Zia, fammi passare, non vedo!” Ahdal cercava di incunearsi, ma l’uomo che aveva di fronte non cedeva il passo.
“Dai, Nora, saranno soltanto due o tre. Filtrati dal Sigillo e andati a zonzo quando il Pastore era ancora lontano.”
“E gli Assogadòres? Perché non li hanno fermati?” Ahdal si strinse nella giubba di lana e intirizzito si calò il berretto, cercando nei suoi occhi una risposta che Nora non poteva permettersi. Gli levò una ciocca di capelli dal viso, dagli occhi neri e testardi. Gli occhi di suo padre. Gli Assogadòres erano morti. Metà della guarnigione del Cardine Meridionale, spazzata via. Neanche i corpi erano tornati alle tombe: non si erano ritrovati abbastanza pezzi.
Potevano essere voci. Poteva essere davvero un piccolo gregge smarrito, ribelle, violento. Nora sapeva che, in ogni caso, avrebbe dovuto portare via i suoi figli da quel luogo, immediatamente. D’un tratto l’ansia di allontanarsi le serrò il petto. Si voltò, ma il muro di corpi, di fiati, di sguardi irrequieti la rispinse avanti. Le mancò il respiro, una vampata di calore contro il gelo innaturale che aleggiava nella sera. Non c’era spazio. Non sarebbero mai dovuti scendere a valle, avrebbe dovuto…
“Mamma, così mi schiacciano. Andiamo via. Torniamo alla tenda.”
Neema le tirò la gonna e Nora allargò i gomiti, proteggendola da un ragazzo che trafelato sgomitava tra la calca per raggiungere la prima fila, dalla gente che si infilava in ogni pertugio e spintonava pur di vedere.
“Shhh… Neema, amore, subito, appena la gente si disperderà.”
“Guardate, è il Custode. Si fa avanti!”
Isteli fece cenno col capo, Ahdal le si strinse, cercando di issarsi sulla sua spalla.
Il brusio della folla si interruppe. Le torce sfrigolavano e i denti di un migliaio di persone al freddo battevano in maniera incontrollata. Il sacerdote lasciò le file del clan Arròli e a passi lenti camminò nella notte oltre i fuochi. Le corna della maschera da bue svettavano un braccio sopra il capo e ondeggiavano insieme alla nocca biforcuta del bastone. Si fermò nella piana. Vecchio e curvo, alla luce dei roghi le sue ombre molteplici si proiettavano sull’erba. Il Custode era terra. Il Custode era quercia e basalto. Il Custode non si sarebbe piegato. Neanche di fronte a loro.
L’oscurità si mosse. Una corrente d’aria, un riflesso inquieto.
Uno scroscio di campanacci esplose nel silenzio terrificato e ogni singola anima delle migliaia accalcate sul campo balzò sul posto. Nora tappò le orecchie a Neema, strinse Ahdal.
I cani da caccia presero ad abbaiare furiosi, i cavalli si imbizzarrirono. Un odore denso di pioggia e di terra bagnata si levò nell’aria.
Un altro scroscio, un pugno nello stomaco.
Apparvero.
“Ah!”
L’omone di fianco ad Ahdal sgranò gli occhi, fece un passo indietro, irruento, Nora protesse il capo di Neema. La folla iniziò ad agitarsi, un’onda di risacca. “Mamma, mamma!” Neema piangeva. Nora arretrò con la massa. Ahdal fu inglobato dalla calca, Isteli lo teneva per il colletto. La gente cominciò a urlare senza motivo. Arretravano, ma non fuggivano. Ammaliati dall’orrore fissavano sbigottiti il volto in ombra della loro terra, il destino di prigionia che si rivelava su quella piana. Nora sentì la puzza di feci dalle braghe di un vicino, vide la gonna di una vecchia che si bagnava sino ai piedi.
Il freddo divenne una lama.
“M-mamma…”
Prese Neema in braccio, la strinse forte, carezzandole i capelli e tenendole il viso sulla spalla perché non potesse vedere.
Di fronte al Custode, lucidi volti di legno nero erano sospesi nel buio a quattro braccia da terra. I visi erano stretti da un fazzoletto: sopracciglia scolpite ad ascia, occhi tondi e cavi. Dal naso rapace non fuoriusciva il fiato della vita e la bocca era socchiusa, le labbra immobili.
Maschere senza espressione.
Maschere senza emozione.
Mamuthones.
Sotto le maschere, i corpi si materializzarono un palmo alla volta, come se fossero sempre stati lì e il buio dell’imbrunire li stesse solidificando. Arti di carne nera, polpa d’albero, muscoli come nervi di tronco. Indosso portavano braghe di velluto lacero e sulle spalle una mastrucca di pelli. Tre campane ramate pendevano sul petto e due cinghie di cuoio incrociavano sul collo. Aggiogati come bestie, chini reggevano sulla schiena una cinquantina di campanacci. Il loro fardello. Il loro vincolo.
Là rimasero, immobili e muti. Tre soltanto alla luce delle torce; altri più in là, un centinaio, forse, una processione che si perdeva nell’oscurità della valle.
Nora sentì una goccia di sudore gelato scorrerle dal collo lungo tutta la schiena.
Il Custode sollevò il capo, le corna della maschera di castagno si volsero al viso di legno del Mamuthone che gli incombeva dinanzi. Puntò il bastone a terra e alzò il palmo della mano destra:
“Figli di Hekat!” attese, come a richiamare la Signora dell’Oltre, a mostrarle ciò che accadeva, “che i Primevi confinarono nell’aldilà: non v’è nulla che vi spetta fuori dal Sigillo che infrangete. In nome di Maimon, Padre del giorno, gli Shardan rendono a voi omaggio perché torniate nel luogo d’ombra a cui appartenete!”
Tre tori imbrigliati furono trascinati a forza di braccia con le corde di fronte ai fuochi. Muggiti, rantoli furiosi, sbuffi di fiato. I trimpanus rullarono, il tuono delle canne delle launeddas si levò alle stelle. Gli spilloni d’argento delle menadi officianti penetrarono le gole degli animali. Le teste furono tirate indietro per le corna, irrorando la terra di rosso scarlatto. I tori crollarono sulle zampe, gli occhi bianchi si spensero, tesi al cielo. Due delle donne mascherate si avvicinarono al ventre del più grosso e lo squarciarono. Il cuore ancora pulsante del bovino fu portato al Custode. Questi lo prese, e lo porse.
Il Mamuthone inclinò piano la testa di lato e abbassò lo sguardo.
Al bagliore delle torce, le orbite della maschera rimasero due pozze di buio.
Dapprima non si mosse. La piana intera fu stretta in un silenzio d’attesa. Poi, lento, si abbassò. Porse la mano e aprì il palmo.
“Per Maimon, per madre Orgìa, stanno accettando. Se ne andranno, se ne andranno!” Isteli si premette le mani alla bocca. Ahdal teneva le dita artigliate alla sua veste. Nora seguì con il respiro mozzato la mano del gigante che scivolava sino a quella del sacerdote. Il Custode si sporse, il braccio imbrattato di sangue sino al gomito, il cuore del toro stretto nelle dita.
E il Mamuthone strinse il dono, insieme a chi lo porgeva.
Sollevò il Custode per il braccio, lo tenne a mezz’aria, afferrò il busto con l’altra mano e strappò.
Le interiora del sacerdote piovvero al suolo.
Sacra madre.
Nulla si mosse, né fiatò. Poi urla d’orrore scossero le anime intorpidite e sgorgarono dalle gole. La folla si mosse all’indietro, un passo, due, e cominciò a fuggire.
Nora si ritrovò sommersa.
“Via, viaaa!” urlò qualcuno.
Neema scoppiò a piangere, Nora sgomitò per proteggerla, mentre tendeva il braccio verso Ahdal. Isteli lo spinse avanti, scartando una vecchia caduta sulle ginocchia. Nora guardò con orrore la mano dell’anziana che si rattrappiva, calpestata dai calzari, ma strinse forte quella del figlio e si spinse avanti, sopra coloro che aveva di fronte.
“Ahdal, stammi vicino!”
Corni da guerra suonarono, grida di carica divennero strepiti di terrore. La terra tremava. Passi come tronchi, dietro, a destra, a sinistra, sull’incessante cozzare di campanacci. La calca spingeva senza che Nora potesse resistere, in direzione opposta al boschetto di lecci che delimitava la piana e dove si sarebbe potuta salvare. Si ritrovò con la faccia contro il suolo. Neema, pensò solo. Si rigirò, un piede le calciò il viso. Pianse, si tenne la mandibola in fiamme, cercando di rimettersi in piedi.
“Neema! Ahdal! Dove siete?”
“Mammaaa!”
“Nora! Vieni via, vieni via da lì!”
Isteli. Nora si puntellò su un piede, levandosi lo scialle dal viso, poi qualcosa la colpì alla nuca e lo sguardo le si annebbiò. Barcollò, si tenne la testa. Neema, Ahdal, figli miei… Freddo. Ebbe la percezione del vuoto attorno a sé, dei passi che si allontanavano.
Il cuore le si fermò in petto.
Lo scroscio di campanacci fu uno schianto alle sue spalle.
“Nora, vieni viaaa!
Un’ombra la sovrastò.
Non dovremmo essere qui. Karnak, cosa ho fatto.
Strisciò in avanti, si voltò.
“MAMMAAA!”
Il Mamuthone sollevò il piede.
Shardan. Il popolo eletto, i guardiani degli inferi, i dominatori del mare.
Prede colte di sorpresa.