
Passato, presente e futuro nel profondo Texas, sospeso tra generazioni e modi di pensare. Un racconto di Alberto Della Rossa.
Mia madre aprì gli occhi. Una ragnatela di rughe che guardava il mondo per la prima volta, come un neonato partorito già decrepito. Il cielo racchiuso negli occhi azzurri che osservavano la stessa stanza di sempre, con lo smarrimento di chi si sveglia in un luogo sconosciuto.
Era una di quelle mattine in cui non riconosceva né ricordava nulla del mondo che la circondava da quasi novant’anni. Si guardò le mani, sgranando gli occhi.
«I miei anelli! Dove sono i miei anelli!» Trovavo formidabile come l’aggressività di sempre riuscisse a farsi strada nella tabula rasa della malattia.
«Mamma, gli anelli sono al sicuro» sospirai. «Li abbiamo tolti perché ti davano fastidio, non ricordi?»
Mi sentii stupido. No che non ricordava. L’alzheimer si era portato via tutti i ricordi recenti e li avrebbe restituiti solo in capo a qualche ora, nel migliore dei casi.
Claire entrò in quel momento, bussando appena prima di aprire la porta della stanza. Portava il vestito bianco a fiorellini rossi che mi piaceva tanto. Le guardai le gambe nude. Era splendida.
Le labbra carnose accennarono solo un “ciao amore” verso di me, prima di aprirsi in un candido sorriso rivolto a mia madre.
«Buongiorno Margaret.»
Non ebbi il tempo di avvisarla che era una di quelle mattine.
Mia madre si voltò verso di me, la linea sottile delle labbra tremava leggermente.
«Adam. Una negra è entrata in casa nostra. Sarà stata lei a rubare i miei anelli.»
Puro Texas orientale anni quaranta.
Chiusi gli occhi. Mi vergognai per lei.
Guardai Claire mortificato, implorando perdono con lo sguardo. Sorrise ancora di rimando e poggiò la tazza di the sul comodino sotto lo sguardo di fuoco di mia madre, incapace di riconoscere sua nuora.
Senza dire una parola, si girò con un fruscìo di seta . Mi sfiorò le labbra con un bacio, mettendo a segno in un colpo solo la mia resa e la sua piccola vendetta nei confronti della vecchia insopportabile distesa a letto.
Uscì dalla stanza, facendomi l’occhiolino, appena prima che mia madre iniziasse a urlare insulti da Ku Klux Klan.
Quando scesi da basso, qualche ora più tardi, trovai Claire seduta sulla vecchia poltrona di mio padre, intenta a sfogliare una vecchia rivista di caccia. Abbracciai con lo sguardo la casa nella quale ero cresciuto. Dalle pareti mi guardavano stralunate le teste di due cervi impagliati. Un piccolo alligatore faceva bella mostra di sé sopra il camino, appena sotto i fucili da caccia.
Una perla nera in casa di bianchi del sud. Dal nulla affiorò il ricordo di mio padre, sul letto d’ospedale, intento a stringerle la mano, abbattendo nei suoi ultimi minuti una vita di pregiudizi. Mio padre adorava Claire, era solo troppo texano per ammetterlo.
Si alzò dalla poltrona, lasciandomi il posto per tornare con due birre.
«Toglimi una curiosità» chiesi, «come fai a non odiarla?»
Si fermò un istante, poi sorrise.
«Sciocco. Io ti posso avere tutti i giorni. A lei, a volte, di te non rimane neppure il ricordo.»