Ti vedo meglio al buio, poltergeist

Si vive di notti buie e tempestose, lì nella casa sulla collina. Non c’è nulla da fare quando il sole è alto, perché i miscredenti visitano i posti chiacchierati quando le ore si fanno piccole.
Per Poltz, era un lavoro incredibilmente soddisfacente, tanto che non l’avrebbe scambiato con null’altro.
Un curioso si fece avanti quando un lampo illuminò il salotto, riuscendo a entrare tra i rombi dei tuoni senza farsi udire, e nessuno si scomodò a dargli l’accoglienza meritata.
“Suvvia, qualcuno dovrà pur farlo!”
Nessuno degli altri inquilini rispose. La verità? Erano rimasti in pochi ad abitare quelle sale, e tutti gli altri odiavano passare il tempo a nutrirsi delle emozioni. Gli dicevano che la corrente elettrica era meglio, ma lo spirito non voleva proprio provare energia industriale, e i fulmini erano troppo difficili da beccare.
Attraversò ragnatele mentre seguiva la vittima che esplorava gli ambienti. Lo vedeva tossire per via della muffa alle pareti, per l’aria stantia, o… Insomma, per roba da vivi.
Si aspettava di vederlo aprire i cassetti alla ricerca di un coltello malconcio, per imbastirci su una di quelle storie da rimbambiti da apparecchi luminosi. I ragazzini lo facevano una volta al mese o giù di lì.
Quanti omicidi si erano compiuti in quel luogo?
Zero, però a Poltz piaceva alimentare le storie e far piangere le ragazzine che fingevano di fare le medium.
Eppure, tra una risatina sinistra e l’altra, il fantasma vide l’intruso cercare negli armadietti. Guardava in ogni vasetto o barattolo vuoto che trovava, come se sperasse di trovare qualcosa di commestibile nei mobili della dispensa.
“Ah, ci penso io a te. Qualcosa in arrivo!”
E Poltz fu un refolo di vento, accompagnando il suo scherzo con il rumore della porcellana che s’infrange. Quando il signore si voltò, una tazza sbeccata se ne stava lì nel bel mezzo del tavolo. Era tè fatto da acqua piovana, perché non è che Poltz potesse fare miracoli, e le foglie le aveva prese da una pianta un po’ tanto morta dal soggiorno.
«È già qualcosa.»
L’ospite sospirò e prese a bere la sostanza sconosciuta senza farsi troppe domande, ingurgitando pure le foglie secche. E, sotto gli occhi vacui e increduli di Poltz, alla fine rivolse pure una preghiera.
“Sarò uno spirito, ma non sarò mica lo Spirito Santo” pensò tra sé e sé, volando proprio sulla testa dell’umano ignaro, fin quando non dovette quasi tenersi al lampadario per evitare di cadere giù: si sentì la pancia piena, e la sensazione poteva essere accomunata al prendere una grossa cucchiaiata di gelato in un pomeriggio assolato. Annusò in giro, e per Poltz c’era solo quel senso persistente di gratitudine.
“Strano, però va bene.”
«Hai mai avuto fame?» mormorò l’uomo, senza distogliere lo sguardo dal bordo scheggiato. «Quella fame che ti morde dentro e non ti lascia dormire?»
Di un umano che provava a parlargli seriamente non aveva memoria. Certo, alcuni avevano insistito con quelle sciocchezze spiritiche, ma mai prima d’ora si era sognato di rispondere.
E sì, l’aveva avuta: fame di emozioni, di pantaloni da far bagnare e di vite da consumare. Ma quella cosa lì doveva essere diversa. In fondo un fantasma non è altro che… Vuoto.
Da quel momento Poltz seguì il signore emaciato nell’esplorazione della villa per giorni interi, e la notte l’osservava dormire su un divano sfondato, avvolto in tendaggi logori.
Iniziò a chiedersi cosa lo tenesse lì. Era il suo piccolo mistero, e diamine se ne era geloso. Aveva persino scacciato gli altri residenti così da tenerlo tutto per sé.
Quando provò a far cigolare una porta, il vivente puntò lo sguardo verso di lui. «Ah, ci sei ancora? Credevo te ne fossi andato.»
Lo spettro si fermò a mezz’aria. “Ma se è casa mia!”
«Nessuno mi dà retta, fuori. Qui almeno c’è silenzio.»
Poltz alzò le sopracciglia a quelle parole o, per meglio dire, il corrispettivo fantasma.
«E poi, beh, ci sei tu.»
Il tipo gli riversava addosso una malinconia intensa, eppure quella punta di felicità nelle sue parole rendeva il miscuglio dolceamaro. La paura era il suo gusto preferito, però quella sensazione mesta era altrettanto saporita. Un cetriolino, circa.
Gli narrò del lavoro perso, della figlia con cui non parlava da anni o dei giorni passati senza alcun desiderio di svegliarsi: e Poltz volava, e non capiva a fondo i suoi problemi, ma sapeva riconoscere la disperazione con cui quel cuore conviveva.
Una sera, con il furioso temporale a far loro a mo’ di rumore bianco, Poltz decise di rischiare: afferrò la tenda con le sue dita impalpabili e avvolse l’intruso come un fagotto, prima di sedersi nei dintorni per fargli da guardia.
“Come vorrei qualcuno a rimboccarmi le coperte.”
«Sei reale?»
L’uomo lo guardò dritto nelle orbite vuote, come potesse vederlo sul serio.
«Anche se non lo sei… Grazie.»
Lo spiritello gli sorrise istintivamente, come poteva.
Il terrore sarà stato anche succoso, però trovava il conforto un sapore raro. E magari poteva accettare di nutrirsi d’altro, per una volta.
 
(Copertina generata con chatGPT)