Un taglio

Un taglio e via, verso il mare. Quinto classificato nella Pisa Live Edition con Federico Guerri come guest star, un racconto di Filippo De Bellis.

 
«Che altro dovèmo sopportare ancora, Franco? Ci hanno sbarrato l’accesso al mare pe’ costruì ir porto, c’hanno messo le ciminiere sur confine, sapendo bene che ir vento soffia sempre verso ir mare e ce lo butta tutto dalla parte nostra, ir fumo. C’hanno spianato metà dell’arbori pe’ costruì ir parcheggio della stronza delle loro mamme, hanno messo l’aeroporto sulla piana, che ogni volta che decolla un aereo la notte uno di noi mòre d’infarto. Le vibrazioni delle ruspe ieri hanno spaccato il servizio da tre della Pina»
«Hanno menàto a terra u’ casolare di Antonio pe’ fa’ passà l’autostrada. Gli hanno detto che c’era il risarcimento ma io penso ca’ unn’è la stessa cosa avere dei soldi e averci un tetto sulla testa. L’hanno fatto l’altro novembre, che u’ sapimu quanto chiove! Chiove e basta!»
«Franco, l’hai viso pure tu che scaricano ner mare! Se fanno l’affari loro, magnano a schifo e tutta la merda che producono ce lo sai dove la buttano. Er mare dieci anni fa’ era azzurro, mo’ è arancione!»
«Je so’ d’accord!» disse Silvano, soprannominato Sì sì, perché era sempre d’accordo su tutto.
Ritornò il silenzio. Sopra di loro oscillava l’unica lampada accesa, che poco prima Rosario aveva colpito con la testa alzandosi di scatto, incazzato nero. Più stavano zitti più il ticchettio del ventilatore si prendeva il tempo. Guardavano tutti e cinque il sindaco Franco, chi se lo sarebbe mangiato vivo in quel momento e chi ancora ci sperava, che dicesse di sì.
«Ma pensate che io non le sappia tutte queste cose? Che non sia d’accordo con voi? Sono delle bestie»
Anche i più diffidenti lo guardarono sbalorditi, perché non aveva mai detto, in anni di carriera politica, un insulto così forte ai cittadini di Brachia.
«Ma quello che dite voi non si può fare. Non è contro la legge, è contro la logica!»
«Je so’ d’accord!» disse Silvano e tutti lo guardarono male.
«E che altro vorresti fa’? I ricorsi individuali li avemo fatti e c’hanno detto… Com’era Antò?»
«“Sussistono giustificati motivi d’interesse generale alla rimozione degli impedimenti per i lavori pubblici”»
«I ricorsi collettivi li avemo fatti pure e ci hanno risposto che non siamo una comunità, non c’avemo diritto d’accampare pretese perché siamo in quaranta in tutto il paese. Dicci tu, che ci resta?»
«Ci resta di sopportare, di continuare a fare la nostra vita. Se siamo qua, è perché il Signore ci ha voluti qua. E qualsiasi fumo, rumore e malattia arrivi, lo dobbiamo sopportare, perché è quello che il Signore ha deciso per noi. Chi vuole resta, chi non vuole parte, se ne va dove gli pare»
«Dove je pare? La città sta dovunque, Franco. Non si può scappare dalla città»
«E poi perché io me n’aggia scappà? Io sono nato qua, loro no!»
«E allora mi dite come? Come sopravvivremmo alla deriva, con quale cibo? Per non dire che la Pina soffre di mal di mare»
«La Pina s’attacca ar cazzo, Franco! E per mangiare lo sai: ci portiamo dietro la terra da coltivare, ci portiamo dietro l’animali e l’acqua ce l’avremmo sempre a portata di mano col ruscello!»
«E le medicine per il primo soccorso? E la polizia se Michelone ammazza Vanni? Questi servizi ce li offre Brachia, lo sapete no?»
Di nuovo silenzio. Era vero: che avrebbero fatto se Michelone avesse ammazzato Vanni?
«Guarda che una vera barca ogni tanto approda! Io so’ medico, le medicine che c’abbiamo ce le portiamo dietro. Quelle che ci serviranno ce le prendiamo le volte che approdiamo. E poi fidati, Franco: senza l’industria ad un palmo di naso, ci ammaliamo di meno»
«E Michelone non spara a nessuno se gli levi dalle recchie il casino che fanno in città coi lavori di ristrutturazione. Sono quelli che lo fanno diventà matto»
«Non se ne parla. La città è odiosa ma ci serve, è un dato di fatto» disse Franco, senza riuscire a guardarli negli occhi. «Mettete nel cassetto quest’idea balzana una volta per tutte. Non si può sognare ad occhi aperti tutta la vita. Così ho deciso, la riunione è terminata»
«Je so’ d’accord!»
Rosario tirò un pugno sul tavolo, si alzò e di nuovo colpì il lampadario con la testa. «Te non sei il mio sindaco»
Uscirono silenziosamente e si dimenticarono di spegnere la luce. Così nel sottoscala rimasero, come frammenti di rabbia, sette sedie intorno ad un tavolo e la sedia di Rosario rovesciata per terra, sotto la luce indecisa di un pendolo.
Fuori erano le due di notte, in paese non esisteva anima viva. Il sindaco s’incamminò senza salutare gli altri. Conosceva la persona che in quel momento dormiva dietro ognuna delle finestre, sapeva quali mondi stava sognando al di là di esse. Come facevano a non capire? Se in quegli anni avesse deciso di combattere una battaglia per ogni questione che tiravano fuori, il paese sarebbe stato abbattuto dalle macchine di Brachia.
Guardò verso la minuscola piazza. Cos’è? C’era una macchia scura, grande, che stava immobile proprio al centro. Qualcuno dei ragazzi avrà fatto una bravata, toccherà chiamare la protezione civile. Si avvicinò per controllare. Ci vedo male o…
«E’ il cavallo di Salvo. Era dieci giorni che stava male» disse Rosario alle sue spalle.
Il sindaco si chinò. La bestia si era accasciata su un fianco. Nell’occhio che aveva ancora aperto e spalancato in alto si riflettevano i palazzi di tutta la piazza, la strada si apriva come un ventaglio sulla pupilla e l’iride era trapuntato delle luci dei lampioni. Sul fondo, nero come un rondone, si vedeva l’ultimo cielo.
La notte stessa il sindaco chiamò a sé tutti gli uomini, i giovani, i vecchi, i contadini e i dottori e pure le donne e i bambini, gli inabili al lavoro e i ciechi e i mendicanti. Ciascuno prese quello che aveva, una zappa, un piccone, il mestolo da cucina, la paletta del figlio.
Il sindaco li portò fino al cartello che segnava la fine della frazione di Arachia e l’inizio della città metropolitana di Brachia. Lì, seguendo una linea virtuale, cominciarono a scavare. E scavarono fino all’alba. La notte successiva tornarono, ciascuno nella propria postazione, e continuarono a scavare. E ritornarono la notte dopo e quella dopo ancora.
Scavavano senza sosta e sentivano la terra inumidirsi pian piano sotto i colpi.
Finchè una notte Rosario grido: «Ir mare!»
Allora tutti cominciarono a colpire più forte, più forte fino a che la lingua di terra su cui si adagiavano le venti case di Arachia non si staccò dal resto della costa e, come una barca, cominciò a galleggiare.
Il giorno dopo, i giornali di Brachia parlarono del mistero della frazione scomparsa. Si trattava di venti case di contadini e pescatori, forse un medico ed il loro sindaco. Era stato il primo nucleo abitato della costa, da lì si era sviluppata la grande città di Brachia. Nessuno seppe spiegare come mai, quella mattina, un pezzo di terra apparisse divelto come da un colpo di ghigliottina, né dove fosse finito il paese.
Qualche anziano marinaio ogni tanto giura di aver visto, di notte, un intero paese viaggiante approdare nel porto della sua città. Ma nessuno gli crede.