
Una porta, un mistero, una Storia alle sue spalle, un Futuro di sangue. Vincitore della Centoseiesima Edizione di Minuti Contati con Piero Schiavo Campo come guest star, un racconto di Andrea Partiti.
Nel capannone dove lavoro come Custode ci sono una Porta — esattamente al centro dello spazio — e tre sedie a pochi metri di distanza.
Ogni giorno parcheggio sulla strada, mi identifico con le guardie all’ingresso e mi sistemo su una delle sedie dando il cambio a chi la occupava prima di me. Sospetto che abbiano scelto di proposito le sedie più dure e scomode per non farci rilassare mai.
Siamo sempre in tre a guardare la Porta, per essere sicuri di rispettare la regola #3. Un tempo c’erano solo due Custodi, ci ha detto il nostro capo, ma in due può succedere di battere le palpebre contemporaneamente.
Questo lavoro è strano, ma mi impegna solo quattro ore al giorno: mi resta tanto tempo libero e paga bene. Abbastanza bene da non fare domande che lo mettano in pericolo.
Il nostro capo ci ha ripetuto così tante volte le poche semplici regole da seguire che se le richiamo alla mente le sento nella sua voce:
#1 Non aprire la porta.
#2 Non avvicinarsi alla porta.
#3 In ogni momento qualcuno deve osservare la porta.
La sicurezza armata all’ingresso del capannone già basterebbe per le prime due regole e ovviamente noi custodi ci concentriamo sulla terza.
Ma a chi potrà mai interessare la Porta, da giustificare questi sforzi? L’ho osservata — è il mio compito! — ed è una stupida normalissima porta! Una tavola di legno crepata dal tempo, vernice bianca scrostata, di lato una maniglia in ferro annerito e una grossa toppa rotonda ricavata estraendo un nodo da un’asse. Niente cerniere né un telaio attorno. È la porta che ti aspetteresti in un granaio del secolo scorso abbandonato all’incuria, ma senza il granaio — né altro — attorno.
A volte mi sento la vittima di una colossale burla, mentre passo ore a fissarla.
Toc.
In tre sobbalziamo. Raramente parliamo tra noi durante il turno, ma facciamo un’eccezione: ci confermiamo a vicenda di non aver immaginato il suono.
Toc toc. Dopo le prime settimane di lavoro avevo avuto incubi che iniziavano così.
Il Custode alla mia destra si alza e si avvicina alla Porta, facendo attenzione a non superare la linea gialla in terra, linea guida per la regola #2.
«Sento una voce,» dice. «Un bisbiglio.»
Toc toc toc. La maniglia sobbalza. Ora anche io sento la voce.
«C’è qualcuno?» riesco a distinguere. «È da tanto che busso, c’è qualcuno?»
Siamo tutti e tre in piedi ora. Il Custode che si era avvicinato risponde senza convinzione: «Chi sta parlando? Chi c’è?». Io mi muovo a semicerchio per spostarmi dietro alla Porta. Il terzo Custode usa il suo trasmettitore per chiamare le guardie all’ingresso.
***
L’uomo nell’impermeabile rosso si avvicina alla Porta con passi circospetti. Supera la linea gialla, evita le pozze in terra e l’odore della scena non lo turba. Lo segue a poca distanza un gruppo numeroso, armato in parte di fucili e in parte di secchi e spugne. L’uomo in rosso guarda oltre la soglia, scomparendo per un attimo. Si ritrae e richiude la Porta con un sospiro. Fa due passi indietro senza voltarsi.
«È finita,» dice. «Ripulite tutto e chiamate i nuovi assunti.»
Tre giovani dall’aria stupita entrano nella stanza odorosa di candeggina. Prendono posto sulle sedie senza bisogno di indicazioni.
«Sapete dal colloquio perché siete qui. Dal prossimo turno inoltre avrete in dotazione tappi per le orecchie in schiuma di poliuretano. Indossateli prima di entrare nel capannone» dice l’uomo in rosso.
I tre giovani, inchiodati dall’aria grave del capo, restano in ascolto senza esprimere le loro perplessità.
L’uomo in rosso elenca loro per la prima volta le poche semplici regole del lavoro per cui sono stati assunti, da non violare mai per nessuna ragione:
#1 Non aprire la porta.
#2 Non avvicinarsi alla porta.
#3 In ogni momento qualcuno deve osservare la porta.
#4 Non rispondere se senti suoni provenienti dalla porta.
Si allontana subito dopo, per evitare domande.
L’uomo in rosso mormora tra sé, come se qualcuno lo ascoltasse: «Un millennio con la prima regola, un secolo con la seconda, solo dieci anni con la terza. Imparano sempre più in fretta. Maledetti.»