
Il racconto vincitore della primissima edizione di Minuti Contati. La verve di Alfredo Mogavero al servizio di una storia amara e divertente al tempo stesso.
Erano le dieci di un martedì mattina, e Ugo era depresso. Di lì a qualche ora sarebbe arrivato l’ufficiale giudiziario per comunicargli l’ingiunzione di sfratto, seguito da uno stuolo di debitori, operai dei traslochi e altra brutta gente. Era finito, fallito, non aveva più una lira. Maledetti cavalli, maledette puttane. Maledetti viaggi alle Maldive.
Il campanello di solito aveva un trillo allegro, ma quella volta suonò come una campana a morto. Ugo si alzò dal letto scoreggiando e andò alla porta, guardò nello spioncino e non vide nessuno.
«Chi è?» chiese.
«Sono io» berciò una vocetta dall’altra parte. Ugo aggrottò la fronte.
«”Io” chi?» domandò.
«Io, il Male.»
«Ah, be’, entri entri» aprì la porta. «Che spavento. Credevo fossero quelli dello sfratto…»
Un ammasso grumoso di materia infetta caracollò nel salotto, si sedette sul divano e fregò una sigaretta dal pacchetto adagiato sul tavolino. Era acefalo, con una grossa bocca brulicante di denti al centro del corpo e un fottio di gambe e braccia disseminate dappertutto come flosci e sbiaditi raggi di un sole malato. Accese la bionda, prese un tiro e fece un anello di fumo.
«Ci conosciamo?» fece Ugo, sedendoglisi di fronte. L’altro lo guardò con l’unico occhio che gli sporgeva da un alluce e fece di no con un dito.
«Non possiamo conoscerci» disse. «Io sono il Male. Anzi, per dirla tutta sono un male!»
«Oh!» Ugo si versò un bicchiere di cognac. «E, ehm… che ci fa qui?»
«Sono venuto per te. Per ucciderti lentamente e con sofferenze atroci. Per farti sputare sangue, cadere i capelli, marcire gli organi interni, cagare l’anima.»
«Le sto così antipatico? Come mai?»
Il Male finì la sigaretta e mangiò il filtro.
«Non è questo» disse tranquillo. «Devo fare quello che devo fare. Sai che tipo di male sono, io?»
«No» Ugo scosse il capo. «Un male minore?» azzardò con speranza.
«Macché! Io sono un tumore! Un tumore al polmone! Un brutto male! Hai fumato per sedici anni, uomo, e adesso ti sei beccato il pezzo da novanta. Avvicinati, orsù, così che io possa saltarti in bocca e intrufolarmi in te, distruggendoti dall’interno.»
Ugo ci pensò un po’ su, più perplesso che spaventato. Alla fine disse:
«Ma, se tu sei un tumore, non dovresti essere già nei miei polmoni?»
«Be’, in effetti… senti, che ne so io? Eseguo solo gli ordini. M’hanno detto di infestare un corpo e sono venuto per quello. Vieni qui! Forza.»
In quel momento squillò di nuovo il campanello.
«Via!» gridò Ugo al Male. «Non devono vederla, si nasconda in quell’armadio.»
Il mostro obbedì, e l’uomo andò alla porta ritrovandosi davanti all’ufficiale giudiziario.
«Ebbene?» disse questi. «È pronto a lasciare la casa?»
«Certo, certo» fece Ugo. «Anzi, me ne vado subito.»
«I documenti di proprietà dell’abitazione?»
«Sono proprio in quell’armadio, guardi, in fondo al salotto. Li prenda lei, io vado di fretta.»
E se ne andò. L’ufficiale si diresse all’armadio, lo aprì e ci trovò il Male nascosto.
«E lei chi è?» chiese.
«Il Male!» gridò quello. «Dov’è Ugo?»
«Andato. Diceva che aveva da fare. Ora si tolga di mezzo. Ho il mio lavoro da portare a termine.»
«Anch’io» disse lo sgorbio. «E sai che ti dico? Uno vale l’altro!»
E gli saltò in bocca, scomparendo veloce nella sua gola. Intanto Ugo, felice di averla scampata, si dirigeva verso il tabaccaio pensando a quella casa che in fondo odiava e in cui non sarebbe mai più tornato.
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