
Sangue sulla neve.
Nel karesansui, cinque yakuza armati di katane a lama monomolecolare circondano un uomo a torso nudo. I cadaveri di otto loro compagni testimoniano come questo scontro sia meno sbilanciato di quanto sembri.
Uno dei mafiosi scatta in avanti. Muscoli potenziati e ghiandole artificiali che secernono steroidi sintetici.
Il gigante evita la katana e scarica un diretto al volto.
La testa dello yakuza esplode.
Batto le mani per interrompere lo scontro.
– Ritiratevi. Non è un avversario per voi.
Gli uomini annuiscono e ripiegano verso la villa.
Il clangore dei battenti metallici che si sigillano segnala che siamo rimasti solo io e l’assalitore.
Ha capelli e barba lunghi e candidi. Il fisico è frutto tanto di addestramento disumano quanto di bioware di grado militare.
Il volto ha le rughe di chi ha visto più di quanto il suo cuore possa sopportare.
– Odin Valfǫðr – faccio un inchino.
– Alfred Goroshi – Lui saluta con un cenno del capo. Sul volto compare una piega amara che forse un decennio fa sarebbe stata un sorriso. – Non sapevo lavorassi per i Kobayashi.
– Pagano bene e non sono padroni peggiori di altri – scuoto le spalle. – Ti ha mandato Lady Viper?
Il volto resta impassibile e, in fondo, non è che mi importi davvero.
Sorrido.
– Ti avrei fatto fuori a Taipei se non fosse stato per Charles Benois. Diavolo d’un francese, sono quasi quarant’anni che aspetto di mettergli le mani addosso.
– Arrivi tardi: se l’è portato via un cancro una decina di anni fa. Di quelli brutti, che si attaccano al bioware e se la ridono di qualsiasi innesto genetico.
Restiamo in silenzio. La neve turbina attorno a noi, ma il freddo che viene dal cuore fa più male.
Tolgo la giacca e la lascio cadere a terra. Mi abbasso sulle gambe e distendo le braccia, sia quelle normali che quelle meccaniche che spuntano dalla schiena.
– Allora siamo gli ultimi della vecchia guardia. Scomparsi noi, non ne resterà più nessuno.
– Per tutto il male che abbiamo fatto, sarebbe stato meglio se l’inferno ci avesse già ingoiati.
Carichiamo.
Piego il capo di lato per evitare un pugno rapido come una cannonata e blocco Odin in una prova di forza.
Gli schianto gli arti meccanici sulle spalle. Il corpo scricchiola, ma non cede.
Urla. Prova a calciare, ma lo strattono di lato, rompendo l’equilibrio del colpo. Un secondo schianto delle braccia cibernetiche produce il rumore del metallo che s’incrina.
Odin si piega in avanti e mi sputa un fiotto di sangue sul petto.
Sollevo gli arti per un ultimo colpo e…
I suoi polsi si aprono e una coppia di lame ne scatta fuori, affondando nella carne. Odin si libera della presa e muove le braccia in direzioni opposte, squarciandomi il ventre.
Cado in ginocchio.
– È un onore morire per mano di un guerriero come te – Sollevo lo sguardo a incontrare gli occhi di Odin un’ultima volta. Gli offro il collo. – Quando verrà il momento, ti auguro di avere la stessa fortuna.
Lui scuote il capo e solleva il braccio destro.
– Sappiamo entrambi che è un privilegio che non merito.
Abbassa la lama.