
Due cuori e un teatro, lo spettacolo va in scena quando si spengono le luci e rimangono solo i sussurri. Un racconto di Cristina Danini.
La prima cosa che l’aveva colpita di lui era stata la voce. Veronica l’aveva sentita nei camerini del teatro. Era serena, trasmetteva tranquillità. Aveva pensato a che musicista associarla, ma non ricordava. Doveva essere un tipo silenzioso.
A dividerla dalla voce c’era una tenda di velluto dei camerini. Allungò la mano per scostarla, ma il direttore fu più veloce.
«Veloci ragazzi, fuori!»
Veronica era uscita schiacciata nella massa. La ragazza si guardò intorno, cercando di rintracciare la voce, ma nel frastuono dell’intonazione non le arrivò nessun suono simile alle orecchie. Stava pensando di averla immaginata, quando la sentì come bisbiglio, durante una pausa. Era un flautista. Le luci erano basse, ma riuscì a vedere il suo sorriso. Era caldo, come la voce. Gli occhi sembravano castani, grandi. Aveva le dita sottili, si muovevano sui tasti del flauto leggere, sfiorandoli.
Alla fine del concerto Veronica avrebbe voluto parlargli, ma le mancò il coraggio. Il suo aspetto era inquietante, non voleva spaventarlo. Strappò un angolo di uno spartito, prese una matita e ci scrisse sopra.
Hai una voce che non si dimentica. Avrei voluto parlarti, ma avevo paura che scappassi. Se vuoi rispondere, lascia un biglietto nell’angolo dello specchio. Veronica.
Scivolò tra i ragazzi nel camerino. Era brava a sparire. Quando arrivò vicino al flautista infilò il biglietto nella custodia, poi tornò a nascondersi e rimase a spiarlo. Lo vide farsi serio mentre leggeva, guardarsi intorno senza capire chi avesse scritto. Le scappò un sorriso amaro. Certo, nessuno poteva ricordarla.
Aspettò che tutti fossero usciti, poi andò allo specchio. Dietro l’angolo in basso a sinistra c’era uno scontrino piegato in quattro.
Avrei voluto sentire anch’io la tua voce. Se vorrai farti vedere ne sarò felice. Alessandro.
Si chiamava Alessandro. Sarebbe tornato il giorno seguente, l’aveva detto il direttore. Veronica rise senza accorgersene. Durante la notte rilesse la risposta fino a farsi passare il sonno.
L’indomani aspettò che le prove fossero quasi finite per appoggiare un altro biglietto nella custodia di Alessandro. Non voleva darsi il tempo di ripensarci.
Aspettami nel camerino, quando saremo soli ti raggiungerò. Ti prego, non scappare. Veronica.
Mentre lo spiava sentì una morsa stringerle lo stomaco. Non avrebbe dovuto farlo. Era sbagliato. Lei era sbagliata. Avrebbe dovuto scappare, ma era come se i piedi fossero ancorati al pavimento. Aspettò tutti uscissero.
Guardò Alessandro ancora un attimo. Muoveva le dita come se stesse suonando una velocissima musica di silenzi. I suoi occhi avevano riflessi color miele. D’improvviso vide Veronica e li spalancò.
«Sei quella Veronica? La ragazza morta cadendo dal palco?»
«Il suo fantasma.»
Alessandro si avvicinò alla sagoma azzurrina.
«Dammi la mano.» disse sorridendo.
Le dita di Alessandro le attraversarono il palmo senza afferrarla.
«Non potrai mai vedermi.»
Lui indietreggiò e spense la luce.
«Si gioca ad armi pari. Ora siamo invisibili in due.»
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