
Un racconto di Raffaele Marra immerso in un’atmosfera wendersiana: come un sussurro raggiunge il cuore e lo culla sulle note di un roco e profondo blues.
Hariel ama il vento, e nelle notti d’inverno vorrebbe sentirne la carezza sulla pelle.
E vorrebbe perdere il respiro nel fiato impetuoso della tempesta, sentire il petto gonfiarsi fino al punto di esplodere, solo per poi aprire la bocca all’ultimo istante e tornare a vivere in un sospiro meraviglioso.
In una notte come questa, Hariel ama guardare la città che vibra al freddo come una foresta muta, addormentata in un’attesa che sa di timore. E vorrebbe provarlo, quel timore. Vorrebbe tremare, accendere un fuoco per non morire di freddo, sfregare mano su mano per produrre calore.
E vorrebbe avere una donna con cui condividerlo, quel calore, un corpo da desiderare, in cui abbandonare il proprio affinché ella lo consoli, lo curi, lo sazi. Vorrebbe avere una voce per intonare uno struggente blues che canti la libertà, piedi veloci per gareggiare con i treni che attraversano il mondo, braccia possenti per potersi tuffare nel mare, diventare acqua nell’acqua e osservare il cielo attraverso le onde.
Hariel vorrebbe riuscire a ridere per la camminata buffa di Charlie Chaplin e vorrebbe saper piangere leggendo Neruda, seguire con un dito le linee inquiete di Jackson Pollock e spingere al massimo dei giri una Porche Carrera Cabriolet.
Guarda i tetti, Hariel, e le antenne che ondeggiano fino a piegarsi. E sente i tenui, inutili sussurri dei taxi, dei tram notturni, delle poche auto ancora in moto.
E, curioso, guarda quell’uomo sul cornicione.
Giona è un uomo e, in questa notte di tempesta, vorrebbe morire.
È come se quei deboli frammenti di vita a cui, a fatica, si è sempre aggrappato, fossero volati via come foglie in autunno. Il lavoro, la famiglia, la casa, tutto va dissolvendosi in questi mesi di caduta, in questo tempo che non attende tempo.
Giona è fermo sul cornicione del condominio in cui vive, aggrappato ad una persiana che scricchiola al vento, il respiro muto nella costruzione di una decisione che tarda a venire. Il mondo, laggiù, lo attende indifferente, solitario, freddo. Il volo è seducente ma dannatamente difficile da intraprendere.
Guarda per un attimo il cielo, forse senza motivo.
Forse.
Sente la carezza del vento sulla pelle. Trattiene il respiro, sente il petto gonfiarsi fino al punto di esplodere, quindi apre la bocca all’ultimo istante e torna a vivere in un sospiro meraviglioso. Trema, Giona, ma pensa a una donna che proverà a riscaldare.
Improvvisamente sorride, e intona nel vento uno struggente blues che canta la libertà.
Infine, sentendo il cuore battere di una vita che non volerà via nel vento, torna lento all’interno del palazzo.
Hariel ama il vento e, nelle notti d’inverno, sa che i suoi desideri volano via tra le antenne.
A volte capita che qualcuno, inspiegabilmente, li capti.
Egli è pura intelligenza, leggera, incorporea. Niente che il vento, o il freddo, o il caldo, o l’acqua, o il fuoco possa violare.
È un angelo e, quando c’è la tempesta, quando la differenza tra il mondo degli Umani e il suo mondo pare ispessirsi come onde burrascose alla riva, vorrebbe provare, almeno una volta, a vivere.
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