CRISTINA – LA BICI CELESTIALE

Una bici con strane e nascoste qualità. Un racconto di Marco Roncaccia.

 
La prima volta che ho fatto venire Cristina ho usato le dita.
Ero del tutto ignaro del suo orgasmo. Ho fatto vorticare indice e medio nel profondo della sua cavità.
 
La trovai in un garage. Poco più di un telaio arrugginito.
«Lascia stare che non vale un cazzo» disse Stefano, quello col furgone con scritto “Il Re del Trasloco”.
Io invece fissai la decalcomania ipnotizzato.
“Cristina”, le lettere in un corsivo femminile, generoso di curve e svolazzi.
Sarebbe fantastico trovare un biglietto d’amore scritto così, pensai.
 
Maria, invece, sul mio frigo ha scritto in stampatello: “ADDIO, PORCO MALEDETTO!”
 
«Tu sei tutto scemo» disse Stefano perché non volevo che la bici finisse in discarica.
La portai a casa.
Maria dormiva da un’amica, pensai di restaurare per lei Cristina e di farle una sorpresa.
Cristina è una bici pieghevole anni settanta.
La denudai. Sellino, ruote, manubrio, catena, guarnitura, movimento centrale, andarono a finire in un angolo della stanza.
Iniziai a carteggiarla con cura.
Notai che l’interno del tubo della sella era molto ossidato, avevo impiegato molto per estrarre il canotto e quindi, con un po’ di pasta abrasiva su indice e medio, iniziai a massaggiarne l’interno. Il metallo iniziò a vibrare, o meglio, non era più ferro ma un corpo strano, solido liquido e gassoso allo stesso tempo. Il telaio fremeva, si contorceva, era bollente. Il tubo si dilatava e stringeva intorno alle mie dita.
Poi avvertii dei suoni, come un’armonia metallica, ed infine i tubi tornarono alla loro inerzia iniziale.
Pensai a una allucinazione e andai a letto.
La mattina dopo non credevo ai miei occhi. Solo la decalcomania con il nome era la stessa, al posto del rottame c’era una bici da corsa dalle magnifiche forme e con componenti di una scorrevolezza mai vista prima.
Solo il clacson di Stefano e la sua voce del cazzo mi distolsero dallo stupore.
«Scendi! Giuseppe il falegname vuole che gli svuotiamo il magazzino»
«Oggi non lavoro, sto male!» Gli risposi da dietro le persiane.
«Ne oggi ne mai, stronzo!»
Appena girò l’angolo, presi Cristina, la misi in strada e partimmo. Mi lasciai condurre da lei.
Scorreva silenziosa e mutava i miei gesti impacciati in pedalate fluide e rotonde.
La città è sparita e ci siamo trovati in campagna. Volavamo, ogni asperità del terreno era ammortizzata dal suo corpo e restituita al mio sotto forma di un eccitante massaggio prostatico. Al ritorno a casa mi sono spogliato mentre Cristina cambiava di nuovo le sue forme per avvolgermi e darmi piacere.
Ero prossimo all’eiaculazione quando il rumore della chiave nella toppa e dei passi ci ha sorpreso.
Cristina si è ritratta riprendendo le spoglie del rottame del giorno prima.
Maria mi ha visto così, nudo, mentre strofinavo il mio cazzo eretto contro un pezzo di ferro.
Ha scritto sul frigo e se ne è andata sbattendo la porta.
Ma non importa. Stringo a me i tubi gelidi del telaio e guardo con dolcezza le striature di ruggine.
Sono un maledetto porco e amo Cristina.

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