Democrazia verticale

Il sudore di molti per il bene di pochi. Settimo classificato nella Pisa Live Edition con Federico Guerri come guest star, un racconto di Giancarmine Trotta.

 
A noi del Mediocris, il primo giorno di scuola, i maestri ci accompagnarono sul belvedere più caratteristico della città invece di scrivere lettere alla lavagna. Scoprii anni dopo che non fu una loro iniziativa legata a una didattica moderna e più vicina alle esigenze di noi piccoli scolaretti.
No.
Era previsto nel piano comunale così come gli approfondimenti periodici sul modo di vivere degli “altri”. E noi, che rispetto a quegli altri eravamo sogno o incubo, scalata o precipizio, imparammo immediatamente una delle lezioni più importanti della vita. A distanza di tanto tempo e da qui dove mi trovo, mi riesce difficile distinguere le emozioni del momento da quelle elaborate pian piano. Alcune cose, però, rimasero ben impresse nella mia mente di scolaro mediocris, come le parole del signor maestro appena giunti sul posto.
«Ora due per volta vi avvicinate e guardate nel super-cannocchiale. Guardate in basso prima di alzare gli occhi al cielo». Così facemmo tutti assieme, sincronizzati nello sguardo verso ciò che i più scaltri avevano intuito a casa o nei cortili dei nostri palazzi. Io l’avevo saputo da mio cugino più grande che la nostra bella città era in realtà una parte di una struttura cittadina più estesa in senso verticale. Non avevo capito molto e forse il racconto della vita degli abitanti sottostanti mi aveva turbato talmente tanto che la mia mente preferì adagiarsi al pensiero che fosse tutta un’invenzione per sfottermi e provocare la pipì a letto. Ma anche queste cose, tipo la struttura verticale, le capii in seguito. Allora era una cosa alta e lunga in cui noi stavamo in mezzo. Dal belvedere, a occhio nudo, si potevano scorgere solo fumi, puntini, valli dai colori tetri. Poi fummo chiamati ai cannocchiali io e un bimbo dall’aspetto grassoccio, con delle guance molli che il vento spostava di lato.
Fu lì che scoprii le case e le fabbriche, popolate da persone come i nostri genitori. Da alcune zone salivano lenti dei vapori densi e tutto intorno gli uomini faticavano come schiavi. Non potevamo sentire i loro lamenti, ma i visi che la lente del cannocchiale ci restituiva non lasciarono dubbi nemmeno a noi mocciosi: sotto di noi l’Abruptum, come imparammo a chiamarlo da quel giorno, esisteva veramente e faceva paura.
Il ciclo scolastico aveva come obiettivo finale quello di rendere tutti consapevoli della fine che avremmo fatto nel caso non avessimo svolto i nostri compiti con solerzia e rettitudine, producendo più del richiesto, dimostrando capacità di risoluzione dei problemi e non provocandone mai.
La nostra era (e lo è ancora, per chi ci crede) una Democrazia Verticale. Ogni anno il Gran Ministro delle Sviluppo della città di Pyramos, coadiuvato dagli assessori delegati sul territorio, individua i soggetti meritevoli del gran salto verso la Lux, la parte alta della città, quella sopra le nuvole. Nulla, nella vita di noi abitanti mediocrosini, è più importante di un salto verso l’alto. Perché, come ci è stato detto sin dall’inizio, è solo nella Lux che si ha il tempo di vivere appieno le gioie della vita, con i suoi agi e i vantaggi.
La Lux è felicità, benessere, comando.
La Lux è punto d’arrivo.
La Lux è tutto.
Anche a casa, poco dopo, iniziammo a ricevere istruzioni ben precise.
«Mirko la Lux si conquista insieme e quindi solo le famiglie totalmente meritevoli potranno sperare nel salto».
«Papà ma che succede se uno della famiglia non fa i compiti o non lavora?»
«Che prima o poi, tutta quella famiglia maledetta, finirà giù, nell’abisso dell’Abruptum».
Forse da quel giorno o forse dopo, negli anni subito a seguire, mi resi conto di quanto mio padre lavorasse, di quanto mia madre facesse per la nostra famiglia e delle giornate sui libri di mia sorella.
In questo modo la nostra Democrazia Verticale è riuscita ad aumentare la produttività fino a cento volte in due secoli. Nel mondo delle città comandiamo noi. La nostra ricchezza ci rende forti, invincibili. Qualcuno finito nel buio dell’abruptum e ritornato tra noi in base alla Grazia concessa del nostro Presidente Illuminato, risponde che è la schiavitù della posizione più in basso a rendere la città ricca e forte.
Ma i perdenti non fanno la storia e il loro giudizio non conta.
E non conterà mai.
 
Ogni anno, i giorni precedenti alla decisione del Gran Ministro delle Sviluppo sono frenetici: gli adulti lavorano almeno venti ore al giorno, gli studenti si dedicano in toto allo studio. Gli assessori ricevono regalie e richieste di raccomandazioni che difficilmente potranno soddisfare per il basso numero di posti; d’altra parte, non fare un piccolo pensiero è segno di debolezza ed è visto da tutti come una candidatura all’abisso. Perché contemporaneamente alla selezione per la Lux vengono individuate anche le famiglie che passeranno gli anni a venire lavorando come schiavi senza la possibilità di veder premiati gli sforzi; questi maledetti guarderanno la città dal basso, produrranno per il benessere dei pochi in cima a Pyramos.
Ero studente del liceo quando iniziarono a girare strane voci. I professori dicevano che una o più famiglie tra quelle di noi ragazzi sarebbe stata scelta. Io e Diego, il mio migliore amico dai tempi del super-cannocchiale al belvedere, provammo a incrementare le ore di studio arrivando a dieci-dodici al giorno. Ci restammo male quando scelsero la famiglia di Adele: papà assicuratore, mamma dottoressa e lei tra le prime della classe. Ci salutò guardandoci con la superiorità tipica di chi viene scelto per la Lux.
 
All’università scelsi giurisprudenza, sempre insieme a Diego. Fu in quel periodo che, per prima volta, vidi una famiglia che conoscevo scendere nell’abisso.
E fu uno shock.
I signori Ressa avevano lavorato tutta la vita, ma non era bastato. Il signor Luigi Ressa, ammalatosi qualche mese prima di un male curabile anche con il riposo, aveva dovuto diminuire il lavoro di operaio presso la ditta del padre di Diego.
Nemmeno un’ora di straordinario in una settimana.
Una condizione impossibile da giustificare, nemmeno per loro, stimati e benvoluti dai titolari.
Noi amici d’infanzia quel giorno piangemmo. Il regolamento prevedeva che tutti i conoscenti dovessero guardare la discesa dal belvedere. Zoppicante, il signor Luigi ci salutò con lo sguardo disperato di chi sapeva di essere il colpevole. La signora Ines non riusciva a guardarci dalla vergogna e anche i due figli, ancora minorenni, strusciavano le scarpe in terra e piangevano afflitti. Poi la botola si aprì e di loro non si seppe più nulla per molti anni.
Quel fatto mi turbò.
 
Oggi vedo il futuro difficile. Cerco di fare il possibile per salire, ma non so se basterà. Probabilmente è colpa mia se siamo qui e se Diego è nella Lux da anni. Però l’altro giorno, pur distrutto dalla fatica di studiare e lavorare, ho trovato il modo di aiutare una persona in difficoltà.
Per la Democrazia Verticale non conta.
Ma io mi tengo stretto il sorriso di ringraziamento del signor Luigi.