
«Prendete posto… Ordinatamente!»
La sala è gremita. Bianche colonne di marmo a perdita d’occhio…
Mi ricorda quando partecipai al concorso del Ministero come Responsabile dei Centri di Cultura Italiana all’Estero. Un intero palazzetto dello sport occupato per venti posti, di cui dodici già riservati alle forze dell’ordine. È strano che anche qui…
«Numero duemiliardicinquecentomilionieventitré! Abbassa il tono dei pensieri, per favore!»
Il duemiliardicinquecentomilionieventitré sono io. Sissignore! Ora penso sottovoce. L’angelo è severo, ma giusto, i pensieri sono tutti ad alta voce, qui. Mi chiedo come faranno a evitare che noi si copi…
«Allora, esaminandi, avete a disposizione tutto il tempo che volete per completare il compito. Ma ricordate. Avete una sola possibilità. Quando deciderete di consegnare, la cosa è definitiva… Verrete valutati sulla base delle vostre stesse parole. Ah! E non cercate di barare. Che il Preside è Onnisciente. E ricordate! Ci sono solo centoquarantaquattromila posti disponibili, in tutto!»
Davanti a me ho un banco di scuola, una sedia povera, di ferro e legno, come quella delle elementari (scomodissima), un mozzicone di lapis e una pila di fogli a righe.
Mi siedo. Tutti ci sediamo. Un stridio di piedini metallici senza feltro che rieggheggia per tutta la bianca volta dell’Aldilà. Non li immaginavo così gli “accordi gloriosi”, i “cori angelici”, gli “scranni dei santi”, se devo dirla tutta…
«Duemiliardicinquecentomilionieventitré!»
Sì, sì. Scusate.
Uhm… Dunque. Il compito. Prima domanda: “La tua vita”.
Sembra abbastanza semplice, no? La mia vita… posso scrivere tutto quello che mi pare, no? Non c’è nessuno più esperto di me su questo. OK, partiamo… L’importante è fare una buona impressione. Concentriamoci sugli aspetti positivi, OK? Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno…
No, aspetta un momento. “Verrete valutati sulla base delle vostre stesse parole”… Magari ci torno sopra più avanti.
Vediamo la seconda domanda: “Le vite degli altri”.
Cos’è, uno scherzo? Che cosa dovrei fare, la spia? Controlleranno quello che scrivo per vedere se combacia? Sì, dev’essere così… siamo in tanti a pensarlo. Avverto l’inquietudine generale.
Ci fermiamo. Ci guardiamo intorno tutti quanti. Siamo nudi. Tutti nudi. Uomini, donne, bambini, animali, piante, esseri alieni… Tutti abbiamo lo stesso pensiero: e se qualcuno lo vede mezzo vuoto il mio bicchiere? Se qualcuno la sa quella cosa? E se non riesco a impedirmi di pensarla?
Mordiamo tutti nervosamente il retro dei nostri lapis. Ed è pianto e stridore di denti.
«Lucifero! Non siamo affatto contenti di come gestisci la cosa!»
«Tesoro, non capisco. L’Inferno è vuoto. Dovreste esserne contenti.»
«Ma anche il Paradiso! Il Limbo, invece, è intasato da far paura!»
Lucifero si versò un bel bicchiere di Pékèt.
«Avevo carta bianca per interrogare chiunque sulla propria vita.»
«Ma poi dovevi tormentare solo i dannati! Tu invece lasci soffrire anche gli eletti!»
Lucifero si concesse un sorriso e si scolò il suo Pékèt.
«Avevate pensato una punizione deliziosa per me. Miliardi di creature da tormentare senza pace… Chi avrebbe sofferto più del Torturatore? Vi ho detto che avrei esaminato tutti e torturato chi fosse davvero meritevole di pena. E io ho messo solo due domandine. Semplici semplici. Che colpa ne ho io se nessuno consegna? O pensavate che io intendessi davvero leggere, esaminare e confrontare le misere vite di tutti gli insulsi esseri coscienti dell’Universo per poi rompermi l’anima a tormentare solo quelli che, tutto sommato, mi stanno più simpatici? Non ce n’è bisogno. Persino al Cepu fanno così. Si chiama peer evaluation, tesoro. E tu non puoi farci un bel niente.
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