
La felicità può manifestarsi in molti modi, basta avere gli occhi giusti per vederla. Quinto classificato nella MANUALMENTE LIVE EDITION con Consolata Lanza nelle vesti di guest star, un racconto di Adriano Muzzi.
Mi sforzo, ma non riesco a ricordare bene. Un pezzetto prima, un pezzetto dopo, in mezzo il nulla. Prima: la mia splendida bici gialla fosforescente, me la ricordo come se ce l’avessi davanti: ruote maggiorate, freni a disco, ammortizzatori sulla ruota anteriore, 18 marce.
Del dopo ho delle fotografie nella testa molto chiare: la camera bianca, la puzza di disinfettante, il tubo in gola che mi faceva deglutire continuamente, la mamma e il papà con la mascherina. Non vedevo la loro bocca, ma dai loro occhi capivo che sorridevano con lo sguardo triste, come quando si dice una bugia per far piacere a qualcuno.
Mi raccontano che il furgoncino rosso non si è fermato dopo avermi colpito, e che una bambina è stata la prima a soccorrermi. Il suo nome è Giulia, abita vicino a casa mia.
Mi è venuta a trovare varie volte. Mi racconta sempre del “grande botto”, del mio grido strozzato e del mio sguardo da pesce rosso; sì, è così che mi chiama adesso: pesce rosso. Per mesi abbiamo giocato insieme a nomi, città, professioni, l’unico passatempo che avevo quando ero bloccato in ospedale, e poi a casa.
Poi un giorno la mamma è uscita per una commissione, lasciandomi solo con la mia nuova amica e io le ho chiesto quello che non avevo mai avuto il coraggio di chiedere ai miei genitori:
«Giulia, mi aiuteresti a uscire in giardino?»
«Ma, non penso che possiamo, aspettiamo che rientri tua madre; no?»
«Per favore! Sei mia amica o no?»
«Ok, non fare la faccia da pesce rosso però.»
Giulia ha preso la sedia a rotelle nell’armadio e l’ha avvicinata al mio letto. Con uno sforzo incredibile sono riuscito a sedermi su quel trabiccolo, le mie gambe sembravano due stecchini tenuti insieme con la colla di pesce. Lei mi ha spinto fino al giardino; un raggio di sole ha baciato la mia fronte cinerea, per la prima volta dopo un periodo che pareva infinito. L’aria era frizzante, respiravo il profumo dei fiori e del cielo blu guarnito di nuvole di panna. La sedia si è piantata su un sasso e io sono caduto a faccia in avanti. Steli d’erba giganti si paravano davanti al mio viso. C’era anche una fila di formiche rosse enormi che sembravano non curarsi di me: stavano lavorando duramente per trascinare dei semi verso il formicaio. Era bello vederle: ognuna sapeva cosa fare, lo faceva bene, al meglio delle sue possibilità, e per questo sembrava felice. Forse il segreto della felicità era tutto lì.
Sono scoppiato a ridere insieme alla mia amica Giulia per la prima volta dopo il “grande botto”, come lo chiamava lei. Lacrime mi bagnavano gli occhi e annaffiavano le margherite.
Oggi è un bel giorno: sono finalmente ritornato in classe dai mie compagni. Baci, abbracci e risate.
La maestra ci chiede di descrivere in una frase cos’è la felicità per noi:
«Una playstation nuova al compleanno!»
«Uno smartphone alla mia comunione!»
«Un viaggio alle Maldive con la mia famiglia!»
«Un vestito con gli strass!»
Tocca a te, mi dice la maestra. Esito un attimo, poi le dico:
«La felicità è una formica rossa.»