Il guscio vuoto

Soli contro il mondo, destini di anime diverse che s’incrociano senza fare troppo rumore. Sesto classificato nella MANUALMENTE LIVE EDITION con Consolata Lanza nelle vesti di guest star, un racconto di Angela Catalini.

 
Tiburzio era piantato davanti al muro e non c’era modo di spostarlo da lì. Era l’ultimo arrivato, perciò gli infermieri quel giorno gli avevano dedicato maggiori attenzioni rispetto agli altri pazienti. Poi lo avevano lasciato lì, perché qualcuno si era messo a gridare e aveva bisogno di essere calmato.
Passò un dito sulle crepe e schiacciò il muschio fino a che divenne una poltiglia. L’intonaco era venuto via in più parti e i mattoni erano finestre scure che nascondevano la città.
Chiuse gli occhi e pensò a casa sua nel vicolo del Moro a Trastevere, una strada stretta ingombra di motorini e affollata di turisti che scattavano fotografie ai vecchi lampioni e agli angoli di verde ritagliato tra i palazzi antichi.
Dietro di lui c’era l’edificio che ospitava i matti, le finestre con le sbarre, l’odore di disinfettante, di piscio, di sudore, le urla sconnesse, gli occhi vuoti, le bocche spalancate, i letti con le cinghie di cuoio, i medici con i camici bianchi e le domande destinate a restare senza risposta.
Guardò in terra e vide una formica rossa che lottava con alcune formiche nere; l’osservò con curiosità per vedere se riusciva a cavarsela. Le altre erano più piccole ma agguerrite. La assalivano tutte insieme e durante gli attacchi cercavano di strapparle le antenne e le zampine.
A Tiburzio venne in mente quando gli operatori sanitari vennero a prenderlo. Erano in due, ma per trascinarlo via da casa dovettero attendere i carabinieri. Aveva lottato strenuamente, era un uomo alto con le mani grandi e forti, ma alla fine non ce l’aveva fatta e lo avevano strappato dal suo guscio.
La formica rossa aveva resistito a tre attacchi, ma non aveva più l’energia di prima, attendeva appiattita sul terreno il suo destino.
Tiburzio la prese insieme a una zolla di terra e la gettò dall’altra parte del muro. Le formiche nere restarono senza preda, giravano per vedere se riuscivano a trovarla, poi cambiarono direzione e si infilarono in un buco nel terreno.
Era l’ora di pranzo e un infermiere venne a prenderlo per portarlo in sala mensa. Lo trovò con un’ orecchio contro il muro che sorrideva: la formica rossa gli aveva appena detto di essere tornata a casa.