
Tre bambini alla scoperta del mondo in uno “stand by me” tutto italiano. Secondo classificato nella Manualmente Live Edition con Consolata Lanza nelle vesti di guest star, un racconto di Giancarmine Trotta.
Davanti vedo la murgia, così secca che mi verrebbe voglia di porgergli un bicchiere d’acqua e dissetarla.
I turisti nei Sassi si muovono come formiche, poi si fermano, scattano foto e ripartono alla ricerca di un piatto di cialledda o di una zuppa grano e ceci.
Com’erano diversi i miei sassi da bambino: sconosciuti, sporchi, ma vivi e accoglienti, soprattutto per noi mocciosi. D’estate erano la nostra casa fino a sera, e la polvere diventava parte di noi. O forse eravamo anche noi polvere, spostandoci veloci e leggeri da una viuzza all’altra, in cerca di qualunque forma di vita.
Io, Rocchino e Bruno ci incontravamo tutte le mattine di luglio. Ai piedi calzavamo dei sandali che adesso vediamo nei documentari, un pantaloncino e una maglietta colorata.
In mano, un barattolo di vetro ciascuno.
«Salvato’ muoviti che oggi andiamo giù nella Gravina! Chissà che mostri ci saranno. Ti cachi sotto Salvato’?»
E partiva con quella risata grassa e sputacchiosa che mi faceva un poco schifo. Bruno faceva il duro e mi trattava da criaturo, anche se aveva solo due anni più di me e faceva la quinta classe. Però, lo devo dire, una volta mi difese da uno che mi voleva menare e da quel giorno diventammo amici. Quanto a Rocchino, c’è poco da dire, era un tipo solitario perché vedeva sempre delle scene brutte a casa sua. Alcune sere non mangiava proprio e la mattina si sentivano certi concerti nella sua pancia come quelli del Conservatorio.
Quel giorno, per la prima volta, scendemmo fino al torrente. Bruno ogni tanto diceva una delle sue cattiverie per farmi spaventare, poi mi aspettava, mi dava la mano se c’era un fosso più grosso di me e infine mi menava uno scappellotto sul cuzzetto.
Il nostro gioco, da nullatenenti, era quello di prendere quanti più insetti possibili. E vinceva chi ne prendeva di più o chi ne scovava di nuovi. Io ero specializzato in cavallette e scarafaggi, mentre Rocchino era una saetta per le lucertole. Il capobranco Bruno, che vinceva sempre, riusciva a prendere di tutto: farfalle, coccinelle, cicale, cimici e una volta pure delle api.
«Salvato’ è ora di andare, vincerò di nuovo.» Io avevo i soliti insetti e puntavo quella fottuta formica rossa che mai nessuno aveva beccato. Rocchino ne aveva presi proprio pochi e secondo me a qualcuno polposo gli aveva fatto la festa per la fame, ma lui diceva di no.
Mi fermai che il sole mi picchiava e prima di risalire la valle mi sciacquai la faccia gocciolante di sudore.
Poi le vidi.
Un gruppo di formiche rosse, veloci come le macchine del marchese, facevano su e giù da una tana nascosta. Mi buttai a terra graffiandomi e ne presi due in mano. Potevo vincere finalmente!
Erano morte, e non valeva.
Senza dire nulla imprecai qualche Santo udito dal padre di Rocchino e mi preparai a salire, mentre Bruno rideva sguaiato mostrando le sue prede.
Quando chiusi il barattolo e salii, affranto, gli occhi di Bruno mi comunicarono ciò che era successo. Erano entrate, da sole, alcune formiche rosse.
Avevo vinto.
Ero felice.