
Lottare per cambiare, morire per rinascere. Un racconto di Eleonora Rossetti.
Io c’ero.
C’ero quando le prime Leggi furono approvate in un silenzio sporco, mentre ogni opposizione s’inchinava a colpi di mazzette verdi nel nome di un falso idolo universale in cui nessuno credeva. Sicurezza era la parola d’ordine, il caos era sacrilegio.
C’ero, quando il mondo è cambiato.
Io c’ero quando la pistola soppiantò il manganello, quando la soppressione sostituì l’arresto, quando gli avvocati iniziarono a estinguersi e i tribunali a tramutarsi in pezzi da museo per i quali non valeva la pena pagare il biglietto.
Chinare il capo non bastava più, serviva una lezione di tanto in tanto, e coloro che su carta dovevano proteggerci divennero ben presto i più feroci aguzzini. Cieca obbedienza in cambio di vigilanza, mentre la sicurezza diventava una silente e velenosa oppressione che ci rinchiuse in una gabbia avvolta da una lugubre consuetudine.
Io c’ero, e ancora non so per quanto tempo il torpore della paura si è fatto beffe di noi. Nessuno agiva, nessuno protestava. Come se aspettassimo la goccia che facesse traboccare il vaso.
Finché non mi sono stancato.
Finché non sono sceso in strada, sulla spalla un cartello verniciato con lo spray in fretta e furia, sfilando sotto finestre accecate dalle spine del coprifuoco.
Non so perché l’ho fatto. Sentivo che dovevo.
Ho marciato in quella strada fredda e silenziosa, sempre più vicino a quella muraglia umana di armi e scudi anti-sommossa, di divise militari e giubbotti antiproiettile. Tutti lì per me.
Ho marciato sempre in silenzio, lo stesso silenzio in cui ci hanno avvinto per anni, con lo stesso sorriso che ci hanno intagliato nel volto, falso e ipocrita come le vite a cui siamo stati condannati.
Io c’ero quando il primo grilletto venne premuto. Un colpo solo, forse un errore, un impulso, proprio come il nostro, inarrestabile e senza spiegazione. Un centro, dritto all’addome.
Un solo sparo a innescare il tutto.
E adesso, mentre l’asfalto nero pasce del mio sangue, mentre la vita scivola via come sudore, sento porte che si spalancano, finestre che si aprono con violenza. Sento la terra sconquassata dai passi.
La sveglia del mondo ha trillato. La sveglia di un mondo che agognava l’insonnia per sfuggire dall’incubo.
Sorrido.
Sono io la goccia che ha fatto tracimare la diga. Infinite onde s’accavallano in strada, una tempesta di voci umane che si alzano più forte degli spari. La gente s’è riversata in strada, mi corre accanto, mi scavalca, carica. E in quel miscuglio sanguinoso di urla e detonazioni, ho appena il tempo di guardare il mio cartello, calpestato e sbiadito dalla pioggia.
Libertà.
Forse moriremo.
Ma noi siamo i primi. Io sono il primo. A morire per una nuova vita. O a vivere di nuovo.
E non saremo gli ultimi, lo sento. Li sento.
Io c’ero, quando il mondo è cambiato.
Di nuovo.
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