
Quando viene il momento di salutarsi si può scegliere di opporsi e negare oppure di darsi un ultimo bacio e accettare. Un racconto di Vilma Cretti che vi entrerà nel cuore portandoci un po’ di primavera.
Fuori dalla finestra la primavera è uno scoppio di colori. Le aiuole della clinica sono fin troppo precise, contornate dal prato più verde che abbia mai visto. Che spreco! Nessuno ci passeggia mai in quei viali. Torno a girarmi verso Elena e mi avvicino piano al letto candido. Dov’è mia moglie? Cos’è quel corpo inerte che di vivo ha solo la temperatura corporea? Il senso di colpa mi ruba un battito e allungo la mano a sfiorarle la pelle del braccio che spunta dalle lenzuola. Come sempre il rumore prodotto dal respiratore mi dà fastidio, i beep dei macchinari mi penetrano nel cervello, mi snervano.
«E se ti lasciassi andare, amore mio?» le sussurro vicino all’orecchio. Quante volte le ho morso il lobo tenero e ho ascoltato i suoi gemiti, come mi mancano i brividi che le percorrevano la pelle al mio tocco.
Più di tutto mi manca la sua voce. Incazzata, a volte. Dolce e musicale quando le serviva qualcosa. Roca in certi momenti. Vorrei sentirla gridare, vorrei che mi dicesse cosa fare, perché era lei l’ago della bilancia quando dovevamo prendere le decisioni più importanti, quelle che ti cambiano la vita. E ora mi sento un incapace, un vile.
Torno a girarmi verso la finestra e la schiudo facendo entrare nella stanza un refolo di profumi, li aspiro con la bocca completamente aperta, avido di aria pura.
Un sibilo improvviso rompe la quiete. Mi giro verso il letto dove il monitor collegato ai macchinari lampeggia impazzito. Il respiratore è fermo. In un attimo sono vicino a lei e guardo il suo torace immobile. Come mai non arriva nessuno? Sono in panico. Anche se non serve, mi attacco al campanello. È domenica e il personale è ridotto, ma in quel reparto dovrebbe esserci la massima copertura.
Ho il tempo per pensare, e il tempo è maligno. È così che hai deciso di andartene, amore, cosa devo fare? L’allarme fischia, insopportabile. I secondi si dilatano, diventano eterni. Il profumo dei fiori si avvicina al letto e tu non puoi sentirlo.
E quello mi fa decidere. Tolgo delicatamente il tubo dalla tua bocca e, prendendo un bel respiro, mi appoggio e soffio l’aria dentro di te. Uno, due, tre. Ancora. Uno, due, tre. Le tue labbra lievemente ruvide. Il tuo viso schiacciato al mio. Quanto mi sei mancata. Respiro. Uno, due, tre. Lo senti, Elena, il profumo dei fiori? La senti la vita che ti soffio dentro? Tornerai da me? Non lo so. Uno, due, tre. Respiro.
Però anche morire con la primavera dentro, non è il modo peggiore per andarsene.
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