
Ci vogliono gnomi e goblin per insegnarci che a volte bisogna anche saper vedere oltre quello che ci aspettiamo. Un racconto di Alberto Della Rossa.
“RIPARIAMO OROLOGI. PREZZI MODICI”
Ulisse guardava con timore l’ingresso della bottega. Tornò a guardare la porticina, l’insegna dai colori sbiaditi e quel cartello spiegazzato appeso con un chiodo: CERCASI APPRENDISTA.
Una parola, pensò Ulisse, trovare il coraggio. Chissà se aggiustano anche quello? Si sentiva stupido, a porsi tutte quelle domande senza fine. Uno gnomo sciocco, insicuro e disoccupato, ecco cos’era.
Tuttavia, dove non riusciva l’audacia, arrivava il ricordo degli scappellotti di sua madre che nonostante l’età vetusta era ancora capace di menare la lunga pipa come un randello.
Si fece forza ed entrò. L’interno odorava di resina, incenso e altre spezie che gli ricordavano i bordelli delle fate. Si perse per un attimo in ricordi licenziosi di ali da libellula e vestitini in tela di ragno che lasciavano ben poco all’immaginazione.
Un colpo di tosse lo riportò alla realtà.
L’interno era ingombro all’inverosimile di oggetti e parafernalia persino per gli standard gnomici, che non sono certo famosi per l’ordine. Pile di ingranaggi di legno, attrezzi da orologiaio, molle e lancette, piccoli contrappesi di qualsivoglia forma e materiale. Non mancavano alambicchi che gorgogliavano e lanterne dalla luce oleosa a gettare ombre giallastre e vischiose.
Un altro colpo di tosse, dall’alto.
Sopra una colonna di libri, appollaiato come uno stilita, stava un vecchio goblin dal naso adunco e dai sottili baffi intrecciati, avvolti a mo’ di sciarpa attorno al verde collo rugoso.
Il proprietario del negozio lo fissava, con gli occhi gialli che lampeggiavano di scetticismo.
«Siamo chiusi» gracchiò.
«Sono qua per il lavoro» rispose Ulisse con un filo di voce, senza sapere da quali profondità giungesse tale insolita audacia.
Il goblin fermò le mani ossute, che fino a quel momento si muovevano febbrili.
«Uh. Un apprendista. E cosa vorresti apprendere, di grazia?»
Il coraggio si ritrasse in un angolino di Ulisse, tra il cuore e lo stomaco, proprio dietro il diaframma, mozzandogli il respiro e impedendogli di pronunciare nulla più che un balbettìo.
«Ah. Chiaro.» riprese il goblin con una secchiata o due di sarcasmo nella voce.
Detto questo, con un breve gesto gli lanciò l’oggetto che teneva per le mani. Ulisse l’afferrò al volo, più per istinto che per prontezza, e si ritrovò a fissare un piccolo cuore di metallo che batteva in modo perfettamente regolare. Il moto asincrono delle lancette veniva trasformato dalle ruote dentate in un ticchettio costante.
«Aggiustalo» gli ordinò il vecchio goblin.
Il panico montava come una marea dentro Ulisse, che cercava un difetto nel moto del piccolo organo meccanico. Prese a esaminare il congegno minuziosamente, in ogni sua parte, senza interromperne in alcun modo il movimento.
Infine cedette, scrollando le spalle. «Funziona alla perfezione, non c’è nulla da aggiustare» ammise. «Non voglio rovinarlo aprendolo.»
Il goblin sorrise, scoprendo i denti storti in un ghigno soddisfatto.
«Eccellente, apprendista. Eccellente.»
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