L’invidiabile vita mondana dei nostri vicini

Non sempre quelle che ci appaiono soluzioni possono portarci reali benefici. Settimo classificato nell’Ottava Edizione della Quinta Era con Alessandro Forlani come guest star, un racconto di Raffaele Marra.

 
«Non ci posso credere! C’è di nuovo la TV!»
«Marta! Chiudi la finestra che le luci dei riflettori non mi fanno dormire!»
«E come potresti dormire, Ugo? Dai nostri vicini c’è la TV e tu vuoi dormire?»
«Chiudi, che al buio riesco a dimenticarmi di essere sposato con te!»
La donna tira la tenda fino a lasciare un minimo spiraglio di luce biancastra, sottile come una lama. Il suo uomo, steso sul letto a grattarsi un tallone, rutta l’ultima effervescenza di una pessima birra, quindi sbadiglia al soffitto.
«Noo!», esclama la donna di vedetta, «c’è quel giovane conduttore biondino che ha fatto l’inviato di Inverosimilissimo!»
Ugo sbuffa e decide di scaccolarsi lentamente.
«Ti avviso, Ugo Bianchi: proprio l’altra notte l’ho sognato!»
«Sarà stata la minestra di cipolle…»
Marta non risponde, intenta com’è a spiare il giardino dei vicini. Poi, dopo essersi raddrizzata distrattamente un paio di bigodini, riprende la solita cantilena.
«Non è giusto, a loro tutto questo e a noi un bel niente. Prima c’erano le loro feste, il lusso, gli ospiti, la musica, i fiori e le macchine. Ora ci mancava pure il soprannaturale!»
«E che vuoi farci, Marta, se sono già due anni che la loro casa è infestata da fantasmi? Dicono che si vedono i piatti volare, mentre qui da noi al massimo vola qualche mosca.»
«Si vedono delle ombre, le porte si aprono e si chiudono da sole, i bicchieri tintinnano. E pare che nel loro corridoio si sentano delle voci.»
«Nel nostro corridoio, se mi va bene, ogni tanto una scorreggia…»
La donna si volta con i pugni puntati ai fianchi e uno sguardo d’ira che, nella penombra, è solo grottesco.
«Non ce la faccio più! E’ la terza volta in una settimana che viene la TV, è sempre pieno di visitatori, di giornalisti, di gente famosa, di studiosi. E noi qui sempre soli.»
«E chi vuoi che venga mai a studiarti, Marta? C’è mostro e mostro…»
La donna raggruppa buona parte della vestaglia con una mano e, affranta, si siede al bordo del letto. Ugo sente il giaciglio ondeggiare mansueto al peso di sua moglie, quindi attende paziente che nella camera tornino il silenzio, la calma e la solitudine di sempre. La sente gemere triste, poi il letto vibra nuovamente quando Marta, finalmente, si stende.
«Che vita è questa? Io e te sempre soli, e tu che nemmeno mi ami. Persino infestata dai fantasmi la casa dei nostri vicini è più interessante della nostra.»
Ugo solleva gli occhi al soffitto, borbotta qualcosa, quindi si volta verso sua moglie e la cinge con un braccio sudato e rugoso.
«Ora stai tranquilla Marta, e cerca di dormire», è il capolavoro di romanticismo che le sussurra in un fiato di aglio e sigaretta.
La donna non aggiunge altro, probabilmente già immersa in un sonno fatto di riflettori, di interviste, di denti bianchi e di giovani conduttori biondini. Ugo resta in silenzio, sveglio, a fissare il buio della casa.
E a pensare ai suoi errori.
Il matrimonio, ad esempio.
Ma soprattutto l’essersi illuso, due anni fa, di poter placare le invidie di sua moglie uccidendo i vicini.