Lui

Il passato, per quanto lo si riesca a nascondere bene, prima o poi si presenta con il conto. Un racconto di Eleonora Rossetti.

 
L’attico è al buio. Posso agire.
Lavoro di grimaldelli sulla serratura, la minitorcia retta tra i denti. Il pianerottolo è deserto, nessuno dovrebbe disturbarmi. Domino un brivido d’eccitazione: sto rubando a casa di un riccone. Un aspirante sindaco, se ho associato bene il cognome sul citofono al volto sorridente sbandierato sui pannelli elettorali.
La serratura scatta. Mi intrufolo dentro, sacco alla mano. Sto attento a ogni scintillio, che riveli oro e argento. I mobili sono fantasmi silenti, che mi urlano cifre a quattro zeri.
Arraffo tutto quello che posso dal salotto prima di passare alla camera da letto. Come nelle peggiori spy-stories, la cassaforte è nascosta dietro un quadro. Con il gioiellino elettronico che ho arraffato al mercato nero, carpire il codice digitale si rivela uno scherzo. Torcia alla mano, inondo di luce l’interno non appena spalanco lo sportello.
E rimango di sasso.
C’è solo una scatola di cartone consumata dal tempo. La trascino fuori e scoperchio con foga, sperando di vedere mazzi di banconote o gioielli preziosi. Invece ci trovo delle foto di svariate ragazze, quasi tutte graffettate a un articolo di giornale. La prospettiva di ciascuno scatto mi fa intuire che i soggetti ne fossero ignari.
Uno… stalker?
I miei occhi volano sui titoli. E subito noto una cosa. Tutte vittime di stupri, tutti indicati come irrisolti o archiviati.
Comincio a capire cosa ho in mano. Il bottino perverso di un maniaco. Un sollazzo seriale che, a giudicare dalla data del primo ritaglio di giornale, va avanti da almeno trent’anni. Ce ne sono così tante…
Dal mucchio sbuca una foto, che mi uccide il respiro in gola. Una donna. L’avrei riconosciuta a occhi chiusi. Spalanco la bocca, con l’improvvisa voglia di urlare.
Mia madre. Più giovane, col volto rilassato e l’ombra di un sorriso che non le ho mai visto.
Frugo a fondo e scovo diversi scatti affrancati a un articolo che indica l’avvenuto stupro. Guardo la data: ventotto anni fa.
Quasi un anno prima che io…
La torcia mi cade di mano, lasciandomi nel buio dei ricordi. Ricordi di mia madre, sempre sotto psicofarmaci e in continua depressione. Mia madre, che alle mie pressanti domande sull’argomento “padre” diceva che lui non sarebbe mai venuto a prendermi, e non l’avrei mai dovuto cercare, perché ormai mi aveva dimenticato. Lui, che non aveva un nome. L’anonima piaga che – capivo ora – le aveva distrutto l’anima prima che il cancro le devastasse il corpo. Lui, che l’aveva spezzata dal giorno del mio concepimento.
Lui…
 
L’attico è al buio. Posso agire.
Ho rimesso tutto dov’era, in ordine. La porta è di nuovo chiusa, la cassaforte è nuovamente sigillata.
Ma vuota.
Mi allontano dall’edificio con la scatola sottobraccio. Ci saranno vari modi, rimanendo anonimi, perché arrivi a chi di dovere, giusto in tempo per far scoppiare uno scandalo.
D’improvviso, sorrido.
Tale padre, tale figlio.
Ho rubato molto più di una ricchezza. Ho rubato una vita.
Come lui.

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