Marta muore con gli occhi aperti

Anche la Morte può essere sensibile alla voglia di vivere di una bambina. Un racconto di Francesca Nozzolillo.

 
Una volta le avevano detto che sarebbe morta con gli occhi aperti. La signora Lilian era una strega dall’orribile sorriso sdentato, e le aveva detto che un giorno sarebbe diventata una persona estremamente coraggiosa.
Che una persona morta con gli occhi aperti fosse coraggiosa era solo una credenza di paese, ma da quel momento, la piccola Marta aveva iniziato a pensare alla morte. La bambina allegra che giocava con le macchinine del fratello e si drogava del profumo di naftalina era scomparsa, lasciando posto a una grigia e timida figurina inquieta.
La vedeva ovunque, la morte: tra le foglie ai lati del marciapiede, nel palazzo diroccato vicino la scuola, dalla nonna, che le preparava i biscotti al miele e le cantava canzoncine in dialetto.
Si chiedeva: come posso essere la bambina di prima se devo morire? E soprattutto, come faccio a sapere che quando arriverà il momento sarò davvero coraggiosa?
Voleva che i suoi genitori fossero fieri di lei, voleva essere pronta a morire il prima possibile. Così che tutti avrebbero detto: «Guardate che brava Marta, è morta con gli occhi aperti.»
Ma non c’era nulla da fare. Marta non riusciva a non avere paura. Ma il pensarci così tanto in qualche modo la richiamò.
Una notte la sua finestra era socchiusa, un vento leggero muoveva le tendine gialle della sua stanza, e Morte decise di farle visita. Volò oltre la tapparella e atterrò sul tappeto, vicino la bambola Gina dai capelli blu.
Marta si svegliò con un sussulto e la guardò terrorizzata.
Morte fece un inchino, le sorrise e le porse la mano.
Marta serrò le palpebre e tra il buio dei suoi occhi le passò davanti tutta la sua vita. Non che fosse un granché, ma era la sua vita, ed era tutto ciò Morte voleva. Lei però non era pronta.
Così, quella timida bambina chiese alla morte un po’ di tempo in più.
Non ne voleva tanto, qualche decennio. Il tempo di un battito di ciglia, quello necessario a sapere a memoria i capoluoghi d’Italia. E magari invecchiare, e avere dei bambini, e imparare cosa voleva dire morire davvero.
Morte era perplessa: era una richiesta per lei non nuova, ma quegli occhi supplicanti vita la intenerirono. Ci pensò, decise di accettare.
Marta sentì il suo fiato caldo sulla fronte: Morte le diede un bacio, le disse che quando quella fronte sarebbe stata ricoperta di rughe sarebbe tornata per lei.
Poi spiegò le ali e volò inghiottita dalla notte, alla ricerca di un’altra anima da condurre con sé.
Marta aprì gli occhi. Respirò, allentò la stretta su Bimbu, il suo povero pupazzo, e si rese conto che era finita, che aveva superato la prova. Che Morte se n’era andata.
Sorrise e riprese a dormire, fiduciosa in quella promessa.
Quando, ottant’anni dopo, trovarono Marta stesa sul suo letto, il volto morto illuminato dallo stesso sorriso che aveva a sette anni, i suoi figli capirono che il suo incontro con la morte non era solo una storia. E lo capirono dagli occhi: aperti, vuoti, eppur felici.
Marta aveva capito cosa voleva dire morire. E non aveva avuto paura.

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