Odore di coraggio

Chi deve imparare ha bisogno di un maestro, chi già sa ha bisogno d’insegnare per non avvizzire. Finalista nella Novantanovesima Edizione di Minuti Contati con Franco Forte come guest star, un racconto di Erika Adale.

 
odore di coraggio
 
Marco correva lungo l’argine a testa bassa, lo sguardo fisso sui ciottoli del terreno. Voleva nascondersi al più presto nella sua camera, come farebbe una lepre in un buco. All’improvviso si ritrovò con il naso contro il tessuto ruvido di un paio di calzoni. Ricadde all’indietro, il sedere a terra, di fronte a due piedi callosi.
«Ragazzino, guarda dove vai» gracchiò una voce.
Marco alzò gli occhi e riconobbe Oreste, un amico di suo nonno. Magro e allampanato, i capelli unti, non era certo un bello spettacolo. Marco dilatò le narici: il vecchio puzzava parecchio. Chissà da quando non si lavava. Il nonno aveva detto che, da quando gli era morta la moglie, Oreste non era più lo stesso. Aveva preso a bere, vagava instupidito dal vino e dalla disperazione.
«Stai piangendo?» chiese il vecchio curvandosi a fatica.
Ecco, di certo già lo chiamavano pisciasotto e adesso lo avrebbero soprannominato anche “frigna”.
«No, io…» non riuscì a proseguire, i singhiozzi presero il posto delle parole.
Con uno schiocco delle ginocchia Oreste si sedette e attese. Il pianto si esaurì in una soffiata di naso.
«Cos’è successo?» chiese allora.
Marco raccontò come avrebbe fatto con suo nonno.
Paolino, il capo indiscusso della banda dei ragazzini, aveva lanciato una sfida: salire sul muro di cinta della fabbrica abbandonata. Era altro tre metri, l’intonaco si era scrostato sui mattoni lasciando degli appigli su cui arrampicarsi. Paolino era salito agile come un gatto e ridisceso dalla parte opposta.
Marco aveva stretto i denti: a casa temeva persino di sporgersi dal terrazzo. L’altezza gli rimescolava lo stomaco, annebbiandogli i pensieri. Eppure si era fatto coraggio e si era arrampicato sul muro, tenendo gli occhi fissi sulle dita che si conficcavano nella calce. Aveva raggiunto la cima trattenendo il respiro. Poi, durante la discesa, aveva permesso allo sguardo di scivolare verso terra: gli era sembrato che il prato precipitasse e il muro si fosse inclinato. Con un salto disperato aveva raggiunto il suolo, ma si era accorto di avere il cavallo dei jeans fradicio. Aveva alzato gli occhi su Paolino e ne aveva colto l’espressione ironica. Non aveva atteso altro ed era scappato.
Oreste prese un’espressione pensierosa. Estrasse dalla tasca una sigaretta fumata a metà e se l’accese.
«Secondo me sei stato coraggioso.»
Marco scosse la testa, perplesso.
«Cosa ci vuole a scalare un muro, se non hai paura di farlo? Questo Paolino non ha dimostrato niente. Tu sì. Hai affrontato la via più difficile per te.»
Oreste si voltò a guardare il fiume che scorreva impetuoso. Si sfregò gli occhi e tirò una boccata di fumo.
«Dammi una mano.»
Marco lo sostenne mentre si rimetteva in piedi.
«Cercami le scarpe, le ho buttate lì fra le ortiche.»
Mentre il ragazzino gli porgeva le calzature, osservò i sassi che il vecchio si toglieva dalle tasche.
«Andiamo a casa.»
Marco sorrise e lo prese per mano. Non lo infastidiva più il cattivo odore: in fondo puzzavano di coraggio tutti e due.