Pnixis

Un viaggio verso l’unico luogo da cui si fugge in questo racconto di Dand Elion, secondo classificato nella Materia Oscura Edition.

 
Non credo che mi ci abituerò mai, a questo essere perennemente vulnerabile. Trasparente.
Nel posto da cui vengo io, i pensieri sono immateriali, oggetti invisibili, inaccessibili se non attraverso un linguaggio.
Qualsiasi volontario linguaggio.
Qui no.
Qui quello che pensi appare accanto ai tuoi passi, per strada, davanti a tutti. Non ha senso non essere nudi.
 
Mi chiamo Aletheia e- ironia della sorte- detesto tutto questo.
 
La voce sintetica del computer di bordo mi informa che siamo appena atterrati su Crono-7, pianeta del sistema orbitante attorno a Pnixis.
 
Scendo. Un piccolo passo per una donna, un passo immenso per l’umanità, se non fosse che tutto ciò che è rimasto di umano nell’universo sono io: una donna, sola.
 
Nulla è come dovrebbe essere.
La luce di Pnixis secondo i nostri strumenti sarebbe dovuta essere come quella del sole, è invece l’atmosfera è densa, su Crono-7 ogni fascio di luce traccia lo spazio, rimbalza sulle superfici, acceca.
 
Immaginate di essere in una stanza con più fonti di luce.
Immaginate che ogni fascio di luce sia visibile.
Immaginate di provare a vedere oltre la luce senza riuscirvi e rendetevi conto che ogni vostro pensiero- attraversato dalla luce- prende forma, dapprima come se la vostra testa fosse una camera oscura, proiettati sui muri, sulle strade, poi via via sempre più concreti, escono dalle rocce, fondono gli alberi, i vostri pensieri diventano oggetti.
Ho paura. È forse la prima volta che ho veramente paura.
 
È questa la realtà?
 
Poggio i piedi su un selciato. Esisterà davvero? O è la mia mente che lo vede e lo realizza così?
 
Ho portato con me tutto quello che pensavo mi sarebbe stato utile: mi rendo conto che qui non mi servirà quasi a nulla.
Crono-7 sembra un pianeta più vuoto di quello che ho lasciato: l’unico rumore è quello dei miei passi. Nessun rumore di animali, nessun fruscio, nessuna percezione.
 
Il silenzio grida forte e stringo di rimando le mie scapole abbassando il collo, in preda all’angoscia.
Possibile che tutti i miei sforzi per sopravvivere siano stati vani? Morirò come i miei compagni, senza spiegazioni?
La vita cosa è, a cosa serve?
 
Devo esplorare il pianeta altrimenti non so quando, ma so dove e perché: morirò di sete e qui.
Mentre penso alla sete che mi sta divorando e al poco di acqua che dovrò conservare per sopravvivere mi ricordo le estati al mare, a casa.
Lui, nel nostro piccolo parco, ad annaffiare copiosamente le sue rose..
Lei sul lettino ad osservare il mare.
 
Sono passati così tanti anni che offuscati dal peso dei ricordi, mi sembra di vederli qui, proiettati sul muro di stucco che si sta costruendo attraverso i miei pensieri, attorno ai miei passi.
Scaccio il pensiero, senza riuscirci del tutto, fa male. Quando sento il profumo delle rose, la sua mano me le porge.
Una gioia infinita mi pervade, lo stringo, lo abbraccio.
Cerco l’acqua delle sue rose.
 
..
 
L’unica acqua che ho trovato è salata e dai miei occhi scivola inesorabile nella mia bocca e ha il sapore amaro del ricordo. E del rimpianto.
 
..
 
Mi hanno presa a schiaffi, non riuscivano a svegliarmi.
«Sembrava Matrix davvero?!» – «Te l’avevamo detto che è pericoloso! Che è sperimentale! Non dovevi andare così a fondo!» – «Hai visto che figata? Ti senti sul serio come dicono? Come l’Architetto di Inception?!»
 
Mi hanno mandato sola, nell’unico posto dove sola non voglio stare, l’unico luogo dove se Io lo immagino Lui esiste ancora.
 
Ho poggiato in silenzio il caschetto, mi sono tolta i guanti, i sensori e la tuta. Ho deposto i calzari. Non ho risposto a nessuna delle loro domande.
Augmented Reality.
Ho il cuore spezzato, barcollo.
Il tempo non passa se il tuo cosmo ruota intorno ad un dolore.
 
«Non partirò. Non ci può essere Aletheia dove la realtà è una bugia.»