
Una bugia per salvare il mondo o una tecnologia rivoluzionaria? Un racconto di Andrea Partiti.
«Sono preoccupata, papà.»
«Non devi, Alice. Abbiamo visto insieme i video, abbiamo parlato a chi ha già fatto il download. Non è doloroso e dopo tutto sarà migliore.» La sala d’attesa attorno a loro era silenziosa. Uno schermo mostrava i nomi delle famiglie chiamate.
«Vorrei che Baffo potesse venire con noi. Gli mancherò.»
«Avremo un nuovo gatto, a Polis41. Lo potrai scegliere una volta lì, ti piacerà.» “E i tecnici pensano sia importante per i bambini mantenere le abitudini…” «A Polis41 potrai tornare a scuola. La scuola ti piaceva!» Continuò.
«Sì, era divertente» annuì Alice. «Potevamo giocare. Sotto una cupola ma era quasi come essere fuori.»
«E c’era la mensa.»
Alice sorrise. Il cibo era stato davvero scarso negli ultimi mesi. Anche se non si lamentava, non sapeva nascondere la fame.
«Vorrei che avessero aperto le Polis prima che la mamma se ne andasse. Insieme…»
«Lo so, Alice. Vorrei anche io che fossimo tutti insieme.»
Alice non lo sapeva, ma il padre aveva fatto di tutto per scalare le liste di attesa, aveva contattato ogni conoscenza, aveva corrotto, comprato, scritto, aveva persino considerato la violenza, se solo avesse capito verso chi. Era stato inutile. Lei era morta, una vittima tra tante di un’umanità irresponsabile. Le Polis erano l’ultimo tentativo di risollevare una Terra allo stremo.
«Ecco, è il nostro turno!» I nomi di Bruno e Alice lampeggiavano sul monitor. Bruno prese per mano la figlia e la guidò verso la sala upload.
Attraversarono un breve corridoio, avvolti dal brusio persistente di Polis41 che penetrava ogni superficie, fin dentro a polmoni e ossa. Sarebbe tutto scomparso una volta caricati.
Sbucarono in una stanza piccola e alta, dominata una poltrona dall’aria incongrua in un ambiente tanto tecnologico, con un gran numero di sensori disposti radialmente attorno al poggiatesta, a salire fino a collegarsi a grandi cavi in fibra ottica lanciati verso un soffitto lontano. Deboli segnali di luce lampeggiavano nei cavi scollegati. Il resto della stanza era spoglio, arredato in maniera essenziale da tavoli in metallo e alte cassettiere da farmaci.
«Chi va per primo?» chiese un tecnico dall’aria pulita, accogliendoli. Alle sue spalle due infermieri erano immobili.
Dopo uno sguardo tra padre e figlia, Alice annuì, facendosi avanti.
«Vi sveglierete comunque contemporaneamente, su Polis41» spiegò il tecnico, sorridendo alla bambina.
Alice sprofondò nella poltrona, troppo grande per lei.
Il trasferimento fu rapido, un balenare di luci, perse verso l’alto nel cuore dell’elaboratore.
Il corpo della bambina si accasciò, subito sostenuto dai due infermieri pronti a deporlo su un tavolo.
Bruno sapeva che sarebbe successo, sapeva che non era permanente, ma non poté controllare un gemito di dolore.
«Potete…» iniziò a domandare con voce spezzata.
«Prima di caricarvi su Polis41, elimineremo questo ricordo dalla sua copia. Non si preoccupi.»
Bruno annuì e si sedette sulla poltrona, evitando con lo sguardo il corpo della figlia.
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