Il premio

Sognare per vivere, vivere per sognare. Quinto classificato nella Seconda Edizione della Quinta Era con Andrea Atzori nelle vesti di guest star, un racconto di Polly Russel.

 
Ancora due dita di unguento, le mani di Luca scivolarono sulla pelle chiara di Ella. «Sei così bella.» Sussurrò.
Lei sorrise e sfiorò i seni marmorei. «Merito di questi due nuovi impianti.»
«Cosa dici? Con o senza tette sei stupenda.»
«Adulatore.» Si voltò e abbracciò la spugna. «Vetro, dissolvi.» Lo specchio davanti a loro si schiarì, scoprendo una finestra. Roma e lo spettacolo dei suoi giardini sospesi si estendeva fino alla cupola, oltre la quale scariche elettriche e tempeste di sabbia arabescavano il cielo giallo ocra. «Sembra quasi bello, da qui.»
«E lo è. Da qui! Come diavolo fanno a vivere là fuori.»
«Non lo so, la disperazione immagino. Lo spirito di sopravvivenza. In linea teorica mi dispiace, ma come si dice, mors tua…» Allungò la mano sul tavolino no-gravity e prese uno dei calici. «Qualcuno deve scavare in quell’inferno e finché non sono i miei figli, me ne faccio una ragione. Me ne versi ancora un po’?»
Il ragazzo si asciugò le mani e prese il vino. «A proposito, i bambini?»
«Tranquillo, abbiamo tutto il pomeriggio. Sono a calcio, ce li riporta mia madre dopo cena.»
«Allora…» Schioccò le dita e una fiamma rosso vivo imporporò il caminetto sulla parete di fondo. Sollevò la bottiglia e si lasciò scivolare un lungo rivolo di vino sul petto. «Hai sete?»
Ella esplose in una risata argentina e si passò la lingua sui denti. «Oh sì.»
 
Il corpo di Luca vibrò un istante.
Ella batté gli occhi. «No, no!» Il suo campo visivo si restrinse, le braccia e le spalle percorse da spasmi violenti. La stanza, la finestra, il camino, suo marito, collassarono in un puntino, mentre il resto del mondo era diventato nero.
Una linea orizzontale verde acido sfarfallò qualche istante.
“SIMULAZIONE TERMINATA”
 
«No!» Il biocristallo sgusciò fuori dalla porta organica dietro al suo orecchio. Lo raccolse tra dita tremanti, mentre già cominciava a disciogliersi. «Ti prego, ti prego…» Sfiorò quella che ormai era solo una poltiglia gelatinosa, si passò il palmo sulla guancia scavata, a cacciare le lacrime.
La parete di roccia gialla sopra di lei sembrava volerle crollare addosso, si coprì la testa con le braccia esili un paio di volte, prima di riordinare le idee.
Si guardò intorno. Una decina di persone, davanti a lei, scavava. Le mani e le braccia piene di sangue e sabbia, i vecchi attrezzi dello stesso colore. Un uomo le era rannicchiato accanto, fissava il vuoto, sorrideva senza più denti. La porta organica in funzione.
«Ancora un po’, vi prego datemene ancora un po’.» Un colpo al costato la scaraventò da un lato e la fece cozzare contro la roccia.
Il militare le sollevò il viso con l’arma d’ordinanza. «Ti sei già “ciucciata” sogni premio per i prossimi due mesi, feccia. La ricreazione è finita, torna al lavoro.»
Ella si sollevò a fatica e raccolse il frangipietra da terra. Uno sguardo alle proprie spalle.
Sotto la cupola protettiva Roma sembrava dormire. Qualche sbuffo, e la cascata di liquami che inondava la valle ne tradiva l’attività.
Tirò su col naso e premette il tasto “on”.