Pubblicità Progresso

Quante cose non sappiamo? E perché una volta raggiunta la Luna non ci siamo spinti oltre? Quarto classificato nella CENTODUESIMA Edizione di Minuti Contati con Franco Brambilla come guest star, un racconto di Maria Rosaria Del Ciello.

 
L’uomo entrò nel locale e sedette al solito posto.
Una specie di rituale.
Arrivava sempre più o meno alla stessa ora, verso il crepuscolo, quando la luce del sole si fa più dolce e le ombre di cose e persone si allungano sul piazzale.
Si toglieva la giacca, la sistemava bene sulla spalliera di una sedia, prendeva una banconota dalla tasca destra dei pantaloni, la stiracchiava bene con le mani e la posava sul bancone.
Poi, dopo un colpetto di tosse per attirare la mia attenzione, mi salutava con un Buonasera!, ordinava una birra e si andava a sedere sulla sedia dove aveva messo la giacca.
Sempre così, tutte le sere.
Non sapevo chi fosse.
Era un signore più che anziano, aveva l’aria stropicciata di uno a cui la vita non aveva regalato nulla, e dall’aspetto curato ed educato dava l’idea di essere un vecchio insegnante in pensione, o un professore o comunque uno studioso ormai stanco.
I bottoni tirati della camicia all’altezza dello stomaco tradivano un leggero sovrappeso dovuto forse a una vita troppo sedentaria oppure a un eccessivo consumo di birra, eccesso del quale un po’ mi sentivo anche io complice.
Poi, un giorno, la consueta routine fu interrotta dalle sue parole.
«Io c’ero quel giorno, ma nessuno mi crede.»
Aveva pronunciato quella frase come se parlasse a se stesso più che a un interlocutore esterno.
Incuriosito, mi fermai di fronte a lui, tirai una sedia da sotto il tavolo e, sedendomi, provai a indagare quell’uomo misterioso.
«Quale giorno, signore?»
L’uomo tirò fuori dalla tasca della giacca un foglio ripiegato in quattro. Lo stirò per bene sul piano del tavolo, cercando di cancellarne le piegature che però si ostinavano a rimanere evidenti.
«Questa foto l’ho scattata io, tanti anni fa.»
Osservai attentamente quel foglio e rimasi senza parole.
Era una foto d’altri tempi, forse fine anni sessanta. C’era un razzo in partenza per chissà quale destinazione e alcune fanciulle a cavallo di biciclette che osservavano la scena.
Il tutto in un’ambientazione surreale, ricordava una zona ai confini del nostro stato, lì dove il deserto finisce e lascia il posto alle montagne più alte.
«Mi scusi, non capisco. Di cosa si tratta?»
L’uomo si tolse gli occhiali e li pulì delicatamente con una pezzetta di pelle di daino.
«La vede quella ragazza che sembra guardarci? Era Helena, mia figlia.»
«Molto carina. Ora dov’è?»
«Se la sono portata via. Maledetti.» La voce dell’uomo si strozzò in un singhiozzo. «Mi avevano giurato che sarebbe stato solo per un mese, che poi sarebbe tornata, insieme alle altre. Invece…»
«Invece cosa?»
«Mi dia un’altra birra per favore.»
«Certo, ma lei mi racconti per bene di sua figlia.»
Feci cenno a mia moglie di portare altre due birre. Ero incuriosito da quella storia, anche perché non era la prima volta che sentivo di ragazze scomparse dalle nostre parti. Magari l’uomo era solo sconvolto dal dolore e io potevo consolarlo un po’. Anche solo con una birra e una pacca sulla spalla.
Lui raccontò di come, tanti anni prima, avesse permesso a sua figlia di intraprendere un viaggio verso Marte. Un esperimento e una vacanza allo stesso tempo.
«L’avevano scelta, lei e altre cinque ragazze. Le avevano somministrato molti test, anche atletici, di respirazione. Vede che indossano dei caschetti? È per via dell’atmosfera marziana, la simulavano con quelle bombole per vedere se riuscivano a sopportarla.»
«Quindi sua figlia è andata su Marte?» chiesi senza riuscire a nascondere la mia totale incredulità.
«Sì, lei era eccitatissima. Le fecero mettere in posa per questa foto che avrebbe dovuto pubblicizzare i voli per Marte. Di nascosto la fotografai anche io. Per questo ho questa fotografia.»
«Viaggi su Marte? Ma non ci siamo ancora andati. Qualche robot sì, che io sappia, ma esseri umani mai.»
«E invece sì.» L’uomo sembrava convinto e io non me la sentii di contraddirlo ulteriormente. «Ma qualcosa non deve aver funzionato. Per questo quelle foto sono sparite e anche tutte le cose che vede in questa foto. Puff, come se non ci fossero mai state.»
«E le altre ragazze?»
«Sparite, anche loro. Le hanno illuse con la storia del viaggio-studio su Marte e invece era solo uno spietato esperimento con pochissime probabilità di riuscire.»
L’uomo si fermò un attimo, guardò il calendario appeso alla parete di fronte a noi.
«Fanno cinquant’anni anni oggi.»
«Forse dovremo brindare» provai a consolarlo.
«Lei dice?» l’uomo mi guardò con sorpresa.
«Magari non riescono a tornare ma stanno bene» inventai. «Che ne dice?»
L’uomo mi guardò e sorrise. Si alzò e mi allungò la foto che mi aveva mostrato.
«Questa la tenga lei. Io oramai sono vecchio. La faccia vedere in giro, chissà che qualcuno inizi a credere a tutta questa storia.»
Se ne andò, in silenzio, e non lo vidi mai più.
Da allora tengo appesa questa bellissima foto alle spalle del bancone del mio bar.
E a chi chiede incuriosito di cosa si tratti dico che è la Pubblicità Progresso dei viaggi su Marte.