
Per ogni cosa c’è il suo tempo, anche per un superpotere. Finalista nella Prima Edizione della Quinta Era con Walter Lazzarin nelle vesti di guest star, un racconto di Jacopo Berti.
Sperava non fosse Ennio.
L’ultima volta, Mario aveva trattenuto a stento una scenata. Giocavano sempre a carte. Ennio se le portava in mano facendole levitare. Lentissimamente. Con un compiacimento soffocato sul suo volto paonazzo. Ennio Taucher. Qualche potere ancora promanava dalla sua testa calva, dalle sue mulze flaccide o dal suo respiro bolso.
Con Fulvio invece, Fulvio Longo, non si poteva proprio giocare a carte, ovviamente.
Mario andò alla porta, appoggiandosi di tanto in tanto alla parete, su vecchie impronte di dita tra le stampe stantie.
«Ti mando su Giada!»
«Sì. Poi…»
«Grazie papà.»
Carezzò la testa della bambina. L’artrite non gli consentiva di stendere abbastanza le dita per seguirne la curva.
«Mama me ga dito che te son sempre davanti a sta roba…» Indicò il tablet che la bambina aveva appena tirato fuori dallo zaino.
Giada muoveva le dita sul vetro lucido come quando, alle prime armi, si accompagna la lettura. Mario vedeva a malapena delle forme colorate rimbalzare sullo schermo.
«Vuoi provare?» gli disse, porgendogli l’aggeggio.
«No, mi no capiso niente de ‘sti strafanici.»
«È facile, dai.»
«E va ben, va ben!» Mario prese il tablet e osservò il giochino.
«Bisogna tagliare in due la frutta.»
«Sì, sì, go capì.»
«Ma nonno, si fa con le dita!»
«Ma mi go l’artrite, e fazo cussì!»
«Non funziona così» disse Giada risentita, correndo alle spalle del nonno.
Fissò qualche istante, incredula. – Come ci riesci?
La mente ritornò ai fatti di quei giorni. “I ragazzi del Boschetto”, li aveva chiamati il quotidiano locale. Ritrovati dopo tre giorni i ragazzi del Boschetto. Era l’estate del ’54, crepuscolo del Governo Militare Alleato.
Non ricordava molto. Le luci, l’odore di temporale, quella sensazione, dentro la spina dorsale, di sentirsi osservati. Di sentirsi osservati dentro la spina dorsale. E poi il risveglio, coi “Mericani” che accorrevano, e non erano quelli della guerra.
Visite, test, controlli. Tutti e tre avevano una cicatrice sopra l’orbita sinistra. Ennio e Fulvio avevano anche altro e avrebbero lavorato per decenni nei servizi segreti. Mario invece non aveva niente. Si era sempre sentito da meno, stupido, escluso.
«Non sappiamo perché a lei non sia accaduto null’altro. Ecco, tenga, chiami nel caso in cui…»
Si alzò in piedi, raggiunse la finestra. Dall’ultimo piano dell’anonimo edificio delle case popolari, Mario dominava con lo sguardo gran parte della città.
Si rese improvvisamente conto che quella stretta che sentiva farsi sempre più forte negli anni non era l’angoscia della vecchiaia, ma centinaia, migliaia di marchingegni lì fuori, sempre di più, che lo chiamavano.
Il dono l’aveva ricevuto anche lui, ma prima del tempo. Quante occasioni perse, quante possibilità.
Mario raddrizzò la schiena, con la consapevolezza di chi improvvisamente scopre la sua statura.
Poi abbassò lo sguardo alla mano tremante. Tutti i cellulari del rione composero il numero sul biglietto da visita ingiallito.