REM

REM

 

Quando non c’è più futuro, l’unica fuga è nel passato. Un racconto di Beppe Roncari, uno struggente futuro senza futuro. Anche questa è fantascienza, tutta italiana.

 
«Sta’ attenta. Sono cristalli di REM puro, non tagliato. Non più di uno a tiro.»
«Non mi rompere!»
Arianna ficcò un rotolo di euro nella tasca dello spacciatore e allungò l’altra mano per afferrare la bustina piena di sottili fiori azzurri a cinque petali.
Lo spacciatore era vecchio. Il viso incartapecorito, il cappello di lana calato sulla fronte, le mani quasi diafane da quanto erano magre, ma riuscì comunque a muoversi con una velocità inaspettata e a ritrarre la busta fuori dalla sua portata.
«Che c’è? Non bastano?»
«Ma mi hai sentito? Non te ne vendo più di uno! Una ragazza giovane e bella come te… che te ne fai di ’sta roba?»
«Affari miei.»
Arianna afferrò la bustina.
«E ai miei clienti? Ne hanno bisogno, che gli racconto?»
«Inventati una storia. Ne saprai tante, no?»
Arianna gli girò le spalle e si calò il cappuccio della felpa sul capo. Mentre si allontanava sentì il vecchio che bofonchiava ancora: così giovane…
Stupido vecchio.
L’Italia era un paese per vecchi. Tossici. Fottuti tossici. Da quando era stato introdotto il REM quasi nessuno aveva più fatto figli.
Ma era andata peggio a quelli come lei.
Trovò un angolo isolato, sotto un lampione funzionante. Era pericoloso tirar fuori il REM per strada, ma doveva accertarsi di non essere stata ingannata. Portò la busta agli occhi. I fiorellini azzurri erano lì. Erano almeno una ventina. Sapeva l’effetto che poteva fare uno… ma tutti?
Con le mani che si incartavano sulla chiusura riuscì a estrarne uno e a portarselo alle labbra. Lo toccò con la punta della lingua, proprio al centro, e poi lo sollevò verso il lampione. Il cuore, la corolla del fiore, lentamente cambiò colore, dal celeste al giallo.
Arianna portò l’intera bustina alla bocca.
 
Erano cresciuti insieme, lei e Giorgio. Giocavano a dare la caccia ai draghi sui muri, d’estate, con le loro lance di steli dorati.
Gli unici due bambini del paese. Erano stati fortunati a nascere in campagna. Lì il REM era arrivato, ma un po’ dopo. Avevano avuto il tempo di andare all’asilo per ultimi, con addirittura qualche bambino più grande negli anni avanti.
Erano cresciuti insieme. Si erano fatti da fratello, sorella, madre e padre, a seconda delle necessità. I loro genitori non gli negavano niente. Per la maggior parte del tempo se ne stavano sul divano a succhiare la felicità dai cinque petali azzurri del REM e li lasciavano fare quel che volevano, purché non gli rompessero le scatole.
Non-Ti-Scordar-Di-Me
I grandi, i vecchi, recitavano quelle parole mentre buttavano giù la loro dose quotidiana. Per loro due, invece, era una filastrocca: la cantavano insieme, contandosela sulle dita l’un l’altro.
Si erano fatti una promessa a tredici anni, la prima notte che avevano fatto l’amore. Non avrebbero mai ingurgitato quella merda. Non avrebbero mai rinnegato il presente per vivere della felicità del passato.
Ma un giorno… Passeggiavano insieme, sul ciglio di un campo, sfiorando punte di lance su steli dorati. Poi era arrivato un vecchio di merda, strafatto, che aveva tranciato le gambe di Giorgio, strappandoglielo di mano.
 
No, questo non voglio ricordarlo! Pensò Arianna, scossa da conati di vomito e da tremiti di febbre, mentre si accasciava contro il lampione.
I momenti felici…
Il REM serviva a quello.
A ricordare i momenti felici.

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