
Stanotte si balla. Fiorenzo sorride. Lui, con quella dentiera storta e l’occhio di vetro. Che cazzo avrà da sorridere sempre?
«Strizza quel pedale, Joe!»
Lo guardo. Ha la fissa dei nomi americani. Fanculo! Bruce Willis gli ha pisciato nel cervello.
«Sta zitto, Fiore.»
Lui ridacchia, o sogghigna, comunque storce le labbra.
«Eccola, eccola!» Si sbraccia sul sedile, puntando il suo indice mozzo verso un punto alla mia destra. C’è una casa arancione laggiù. Non che si veda il colore a quest’ora di notte, ma è lei. Il civico è quello. «E adesso?»
«Adesso che, pezzo d’idiota?» Certe volte proprio non lo reggo. «Entriamo e lo facciamo secco.»
Fiorenzo sussulta, sgrana l’unico occhio vivo e per un attimo temo gli schizzi fuori. Ma non succede.
Peccato. Sarebbe stato uno spettacolo.
«Non fare cazzate»
«Nossignore» promette, rigirandosi il coltello tra le mani. «Vedrai.»
Eh già. Vedrò.
Scendiamo dalla macchina e corriamo bassi lungo il muro di cinta che costeggia la villetta.
Strano che un pezzo di merda indebitato fino al collo possa permettersi questo gioiellino. Proprio vero che l’essere umano è stupido.
Raggiungiamo la veranda e sbircio dalla finestra. C’è qualcuno appisolato in poltrona, davanti a una tv accesa. Non poteva andare meglio, il poveraccio s’è addormentato con le serrande alzate.
«E adesso?» La vocetta di Fiorenzo mi strazia il cervello. «Entro io o entri tu?»
Odiosa goccia di un rubinetto aperto.
«Sta zitto.»
Colpisco il vetro con il pugno guantato, un solo colpo, perché sono un professionista. La finestra va in frantumi e con un balzo sono dentro.
L’uomo in poltrona fa un salto, solo quello. Poi gli sono addosso, il coltello sulla sua gola, la mia mano sulla sua bocca.
Fiorenzo, alle mie spalle, piagnucola e geme mentre scavalca.
«Joe, ma questi vetri tagliano…»
«Sta zitto!»
Tace. Grazie al cielo è un buon soldato.
Il tizio sotto di me mugola disperato, si agita tentando di liberarsi, ma io gli sono sopra. Non può andare da nessuna parte.
«Sai chi siamo?» gli domando, incollandomi ai suoi occhi enormi.
Scuote la testa, singhiozzando.
«La tua condanna, signor Tito Claudio Ponzi.»
Eccolo che si agita di nuovo, il disgraziato. Gli assesto una ginocchiata sui genitali, sui quali già poggio, e ottengo di calmarlo.
«Dovevi saldare i tuoi debiti» sussurro, il mio fiato nel suo orecchio, «con l’Aguzzino non si scherza.»
Ponzi ricomincia a dibattersi, insulso pesce infilzato dall’amo.
«Ehi Joe, forse vuole dirci qualcosa…»
Il sapientone ha parlato. Bravo, ha infilato una frase sensata una volta tanto. E il tizio annuisce, a conferma che è vero.
Gli tolgo la mano dalla bocca, ma in compenso gli infilo la lama del coltello tra i denti, appuntandola al palato.
«Che diavolo vuoi?»
«I-io n-non sono quello che cercate!»
Sbuffo in una specie di risata. Avrebbe dovuto fare l’umorista.
«Certo che sei tu, Tito. Non prendermi per il culo.»
Muovo la mano, pronto ad affondargli il coltello su, dritto nel cervello.
«No! No!» Si sbraccia, in lacrime. «Non mi chiamo Tito! Solo Claudio, Claudio!»
Resto di sasso a fissare il volto tirato e sudaticcio di Ponzi. Poi mi giro piano verso Fiorenzo.
«Siamo nel posto giusto, vero?»
Lui fa spallucce, come se non ne sapesse nulla.
«C’era quest’indirizzo sulle pagine bianche» farfuglia con aria ebete «hai visto anche tu.»
Digrigno i denti, rischiando di spezzarmeli.
«Ho visto quello che tu mi hai fatto vedere…»
Torno a guardare Ponzi e lo sollevo per il bavero. «Fammi vedere la tua carta d’identità! Adesso!»
L’uomo annuisce e indica il corridoio.
«C’è un appendiabiti con un cappotto marrone. In una tasca… il portafogli.»
Faccio un cenno a Fiorenzo e finalmente si muove. Va. Fruga. Torna.
Mi porge il documento.
Lo apro.
Claudio Ponzi.
«Ecco…» balbetta, tentando l’approccio amichevole «vede? “Tito” non c’è. Non nel mio nome!»
Cazzo. Troia merda.
«Ora mi lascere…»
Do uno strappo e la carne si apre, dalla gola una fontana di sangue. Gli tiro un calcio e lo mollo lì, a terra, a contorcersi nella pozza vermiglia.
«Joe, mi dispi…»
«Sta zitto!» Lo afferro per il bavero e lo trascino con me fuori, nella notte. Idiota di un fratello.
Mi toccherà fare il doppio lavoro anche stavolta.
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