
Invito a cena con… delitti. Terzo classificato nella 118° Edizione di Minuti Contati, un racconto di Linda De Santi.
«Vi ho già raccontato della Colazione di Proust nel mio ristorante? Avreste dovuto vedere come sorrideva, quel giocoliere francese, mentre inzuppava le madeleines nel thè.»
I dodici chef seduti al tavolo alzarono gli occhi al cielo.
«Ce l’ha già raccontato, chef Vecchiani»
«Va bene, allora vi racconterò del pranzo del capitano Achab. Credete sia semplice cucinare gli stinchi di manzo come si preparavano su una baleniera di metà ottocento? Vi sbagliate…»
«Chef Vecchiani, ci ha raccontato anche questa. Prenda un altro po’ di maiale glassato e lasci parlare gli altri.»
«Va bene, se lo preferite… a proposito, questa cena è deliziosa.»
«In effetti bisogna dire che l’organizzatore non ha badato a spese. È tutto buonissimo.»
«Ma qualcuno sa chi è il nostro ospite? Io sono venuto qui su invito.»
«Anch’io, e mi sono ritrovato con voi. Non credevo che ci fossero altri chef che preparano pasti letterari.»
«Signori, non distraetevi! L’invito specificava che durante la cena avremmo dovuto scambiarci storie sul nostro lavoro e non smettere finché non verrà servito il caffè. Lei…» lo chef Sbragia strizzò gli occhi per leggere il nome sul cartellino della cuoca che gli sedeva di fronte. «…chef Verlaine, cos’ha da dire?»
Una donna spigolosa parlò con accento francese. «Mi chiami Babette. La scorsa settimana in pasticceria ho fatto, per un prestigiatore di nome Cavé, l’Ora del Thè di Carroll. Thè Earl Grey proveniente dal Cheshire, pasticcini con curd all’arancia e pane fresco con il burro. Le tazze erano di porcellana ed erano sporche, perché Il Cappellaio Matto e la Lepre non hanno il tempo di lavarle.»
Gli chef applaudirono. «Magnifico, Babette!»
«Adesso sto organizzando Il thè di Bilbo Baggins» concluse la donna.
«Tocca a lei, chef Piétre!»
Lo chef si aggiustò i polsini e raccontò: «Ho preparato il pasto di Gregor Samsa su commissione di un illusionista appassionato di Kafka. Roba immonda: verdura marcia, salsa vecchia, formaggio mezzo muffito. Quando glieli ho serviti credevo che avrebbe rinunciato, invece ha divorato tutto.»
«Bravo chef Piétre!» applaudirono i commensali.
«È il turno dello chef Smith.»
«Ho fatto La Cena del Grande Gatsby. La tradizione culinaria newyorkese del primo ‘900 è estremamente interessante. Ho lavorato notte e giorno per preparare più di trenta pietanze diverse tra salumi affumicati, arrosti e torte alla crema. Volete sapere la cosa incredibile? Che durante la serata un giovane mago è riuscito a far colpo su una ragazza che era la copia di Zelda Fitzgerald.»
«E lei, chef Lorenzi?»
«Oh, è il mio turno. Beh, il mese scorso ho fatto la Cena di Trimalcione.»
Gli chef intorno al tavolo ammutolirono.
Lo chef Sbragia balbettò: «A-avete fatto la Cena Trimalchionis, Lorenzi?»
«Ho trovato un cliente interessato e…»
«State mentendo» lo interruppe lo chef Smith. «Nessuno è mai riuscito a fare la cena di Trimalcione.»
«Invece sì» ribatté lo chef Giuliani. «Ho riprodotto tutto. L’asinello con le bisacce piene di olive, i ghiri al miele e tutte le portate scenografiche che voi tutti conoscete bene. Ho macellato duecentoquarantré animali e impiegato quattrocentottantadue ingredienti diversi per cucinarli.»
«Sciocchezze!» esclamò lo chef Smith. «È impossibile che ci siate riuscito da solo. Non intendo restare un minuto di più seduto insieme a questo ciarlatano!»
Trainando la sedia all’indietro, lo chef Smith si alzò.
«Aspettate, amico Smith, dove andate? Dobbiamo conversare finché non verrà servito il caf…»
Le parole dello chef Sbragia vennero cancellate da un urlo agghiacciante.
Le gambe di Smith si erano trasformate in due enormi file di marshmellows colorati. I piedi gli erano diventati due whoopie pie, che si sfracellarono non appena il cuoco mosse un passo.
«Buon Dio!» Esclamò lo chef Sbragia.
«Santo cielo!» Gli fece eco Babette.
Gli chef si alzarono per metà dai loro sedili per guardare Smith che si accasciava a terra.
«È bellissimo!» Gridò lui. «Questi… sono i dolcetti di Willy Wonka. Ci sono le sue iniziali sui biscotti!»
Nessuno ebbe il coraggio di alzarsi per controllare che fosse vero.
«Ho sempre sognato di realizzare la fabbrica di cioccolato!» esclamò lo chef Smith. «Questa è la realizzazione dei miei sogni. È la perfezione. È…»
La faccia gli esplose e una fontana di cioccolato gli sprizzò dal collo.
Gli chef sobbalzarono.
«È orribile!» inorridì Piétre.
«Beh, almeno è morto contento» commentò Giuliani.
Si rimisero seduti.
«Signori, ci conviene riprendere a parlare. Il nostro ospite non sembra un tipo che tollera l’infrazione delle regole.»
«A chi tocca?»
«Tocca a me» disse lo Sbragia. «Signori, credo di sapere chi è il nostro ospite di stasera.»
Un coro di esclamazioni si levò dal tavolo.
«Già» ammise Sbragia. «Altri non è che l’illusionista Cavé.»
«Come potete dirlo?»
«Rifletteteci: ognuno di noi ha servito un pasto letterario per un illusionista, un prestigiatore, un mago. Io credo che si tratti della stessa persona.»
«Volete dire che a chiamarci qui è stato un cliente che abbiamo servito tutti?»
«Un mago, per la precisione. Non può che essere così. Anche la fine che ha fatto Smith è senz’altro un trucco di magia di qualche tipo» continuò Sbragia.
«Potreste aver ragione» commentò Babette.
«Propongo di andare a cercarlo» disse Sbragia. «Dev’essere nascosto qui intorno.»
Gli chef annuirono e si alzarono. Come si allontanarono dalle sedie per cercare l’ospite, però, iniziarono a trasformarsi in roast beef, in macedonia, in gelato con panna. Morirono tutti guaendo di gioia, sentendosi un tutt’uno con la propria arte culinaria.
Sbragia aveva fatto l’atto di alzarsi, ma era rimasto seduto.
Una figura avanzò dall’ombra.
«Bravo chef Sbragia» disse una voce spettrale. «Li avete ingannati proprio bene.»
Il nuovo arrivato si portò sotto la luce: era un uomo d’età indefinibile, con baffi sottili e una barbetta rada e appuntita sul mento.
«Sapevo che doveva esserci un pezzo grosso, dietro tutto questo. L’ho capito non appena ho visto morire Smith in quel modo.»
L’uomo rise. «Avete intuito bene. Devo ammetterlo, speravo che a vincere foste voi. Le vostre ricette mi hanno sempre affascinato.»
«Sarete il benvenuto nel mio ristorante» rispose lo chef Sbragia.
«Temo che non vi farete più ritorno.»
“Cosa?»
«Non temete. Qui non vi mancherà niente. Sono un ottimo cliente, ma ho un palato molto raffinato.»
«E cosa dovrei fare qui?» balbettò Sbragia.
«Ho qualche idea» sorrise lui. «Da oggi in poi io sarò il vostro solo cliente.»
L’ospite si fregò le mani. Adesso la sua pelle era vermiglia come una fragola matura.
«Sono curioso di scoprire come sarà la vostra versione dell’Ultima Cena. Se mi soddisferete, non finirete in pasto al mio cane a tre teste. Allora, che ne dite? Non è fantastico?»